
L’Europa, i dazi e il fascino del Dragone

13 Aprile 2025
Ci risiamo. Ogni volta che gli Stati Uniti riscoprono la loro anima protezionista – tra dazi e tweet presidenziali ad alta tensione – l’Europa entra in sofferenza e qualcuno, immancabilmente, suggerisce di rivolgerci a loro. Il Dragone, la potenza apparentemente benevola, la civiltà millenaria, la superpotenza con il PIL che continua a crescere e la manodopera a buon mercato. La Cina.
Gli analisti del resto sono convinti che Pechino non solo sopravviverà alla guerra commerciale con gli USA, ma potrebbe cogliere la palla al balzo per sovvertire l’ordine globale, o quel che ne è rimasto. L’Unione Europea, purtroppo, non è del tutto permeabile a queste sollecitazioni. L’idea di un sistema apparentemente efficiente, centralizzato, digitale, con infrastrutture iper-moderne, non dispiace a un certo numero di esponenti politici, se non fosse per questioni come la libertà di espressione e il social credit al posto del nostro welfare.
Vale quindi la pena ricordare un paio di cose. Primo: l’Europa è diventata quello che è perché è rimasta ancorata a quel sistema di relazioni transatlantiche che va dal Connecticut alla Cornovaglia, passando per la NATO, Bretton Woods, i Beatles e lo sbarco in Normandia. Non sarà una alleanza perfetta, certo, ma ha funzionato meglio di qualsiasi alternativa. E, soprattutto, è fondata su un’idea semplice e rivoluzionaria: le regole valgono anche per i più forti.
Secondo: fidarsi della Cina in economia non sembra proprio il massimo della vita, nel momento in cui a Bruxelles si parla di autonomia strategica. Certo, i soldi arriverebbero subito. Ma poi? Compreremmo autobus elettrici, appalto incluso, da un’azienda di Stato cinese? Venderemmo a Pechino porti strategici, nodi 5G, università politecniche, diventando improvvisamente “partner” del Partito Comunista? Non sembra un grande affare.
Terzo: la libertà ha un costo. E difendere le nostre industrie, i nostri standard di vita, la nostra opinione pubblica libera, comporta sacrifici. I dazi di Trump sono spesso sbagliati nel merito e nel metodo, ma il rimedio non può essere inginocchiarsi al prossimo impero autoritario solo perché gli USA ci hanno trattati con scortesia. Del resto, per lunghi anni di sacrifici ne abbiamo fatto davvero pochi per avere garantita la nostra sicurezza. E la storia di Atene, noi, e Sparta, gli USA, per il momento non funziona più.
L’Europa non deve scegliere tra Washington e Pechino come si sceglie tra due compagnie telefoniche. Una è una comunità di valori imperfetta, spesso caotica, ma ancora ancorata alla libertà individuale. L’altra è una macchina ben oliata dove le libertà sono opzionali, la trasparenza mette l’orticaria e i successi economici una derivata dello statalismo in economia.
La guerra commerciale scatenata da Trump non aiuta certo i rapporti tra Usa ed Europa. Ma il ciclo trumpiano, per adesso, e considerando anche i Tea Party, non dura da più di dieci-quindici anni. Mentre l’ordine internazionale liberale dura dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Qualcosa vorrà pure dire.