Libertà in recessione: gli USA tendono la mano e le dittature si rafforzano
30 Gennaio 2010
di redazione
Dopo la vittoria dell’Occidente nella Guerra Fredda, le democrazie hanno iniziato a fiorire in tutto il mondo come mai prima di allora. Oggi non è più così. L’ondata di libertà politica e sociale non ha semplicemente rallentato il proprio corso, ma negli ultimi anni sembra aver addirittura cambiato direzione. Considerando che gli Stati Uniti hanno contribuito alla creazione del mondo post-1989, queste tendenze dovrebbero suscitare qualcosa di più che un semplice interesse superficiale.
I problemi della democrazia sono ben riassunti nel report annuale appena pubblicato dal Freedom House con il titolo “Freedom in the World 2010”. Stiamo vivendo una fase di “recessione della libertà”, sostiene il gruppo di pressione. Per il quarto anno consecutivo, sono più numerosi i paesi che registrano un peggioramento nei diritti politici e civili rispetto a quelli che possono vantare un miglioramento: si tratta del più lungo periodo di regresso riportato nel ben noto report in tutta la sua storia quarantennale.
Si può iniziare dai paesi “dell’asse dell’engagement” che il presidente Obama ha cercato di accattivarsi diplomaticamente durante il primo anno del suo mandato. I regimi autoritari di Russia, Venezuela, Iran e Cina sono diventati tutti più repressivi nel 2009, secondo le valutazioni della Freedom House. I tentativi dell’America di mostrarsi più comprensiva non hanno sortito gli effetti sperati sulla controparte, che certo non ha dato alcun segno di collaborazione.
Quattro paesi africani sono stati scossi da colpi di stato militari. Il Kyrgyzstan, paese che rappresentava la speranza democratica in Asia Centrale, quest’anno è retrocesso dalla categoria di “parzialmente libero” a quella di “non libero”.
Il Medio Oriente rimane l’ultimo terreno fertile a livello mondiale per la democrazia. Solamente una nazione qui – Israele – si può definire “libera”. La maggior parte dei suoi vicini arabi ha intrapreso sempre di più la strada della repressione. La situazione sta peggiorando persino in Giordania e in Marocco, dove i re moderati negli ultimi anni hanno cambiato linea, concentrando sempre di più il potere politico.
L’Iraq e il Libano rappresentano delle importanti eccezioni. Insieme alla Turchia, entrambi i paesi possono rivendicare di essere democrazie musulmane. Ed entrambi, non a caso, erano i destinatari dei benefici previsti dalla “agenda democratica” di Bush.
Ma il quadro generale non è tutto negativo. Ottantanove paesi – che rappresentano quasi metà della popolazione mondiale – sono “liberi”, secondo i parametri della Freedom House, e 116 sono democrazie elettorali. Venti anni fa, rientravano nelle stesse due categorie rispettivamente 61 e 76 paesi. Prima d’oggi non era mai successo che tante persone potessero vivere libere dalla tirannia.
Le recenti inversioni di tendenza, tuttavia, coincidono con un calo di interesse da parte dell’America nel promuovere la democrazia. E questo non ha avuto inizio con l’influenza di Obama. Colpito dalla sconfitta subita alle elezioni a metà mandato nel 2006 e vedendo diminuire il sostegno pubblico per la sua politica in Medio Oriente, il presidente Bush ha eliminato l’enfasi retorica e pratica dalla sua agenda di politica estera.
L’attuale amministrazione ha completamente cambiato l’obiettivo su cui concentrarsi. Nei suoi rapporti con Russia e Cina, le questioni strategiche prevalgono su qualsiasi discorso di democrazia o diritti umani, che all’inizio di quest’anno a Pechino sono stati definiti dal Segretario di Stato Hillary Clinton come un diversivo nei rapporti bilaterali. Lo stesso vale in Iran.
Se nel periodo di Jack Kennedy o Ronald Reagan, cercavamo di rendere il mondo un luogo migliore guidati dalla convinzione che il desiderio di vivere in libertà sia universale, oggi ci comportiamo come se fossimo rassegnati ad accettare il mondo così com’è. Eravamo abituati a spingere i paesi verso la democrazia liberale. Oggi riteniamo che il prezzo di una spinta del genere sia troppo alto.
Nel frattempo, i nemici della democrazia si sono organizzati per cancellare tutto ciò che era stato ottenuto all’indomani della caduta del Muro di Berlino, e in molti ci stanno riuscendo.
© The Wall Street Journal
Traduzione Benedetta Mangano