Licenziata “la lingua”, prende il suo posto “l’antilingua” (seconda parte)

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Licenziata “la lingua”, prende il suo posto “l’antilingua” (seconda parte)

09 Ottobre 2010

Tutto il buonismo che ci circonda non è necessariamente negativo, anzi, ha talvolta lo scopo lodevole di elevare ed ottimizzare la dignità umana. Tutto ciò, invece, può diventare pericoloso quando l’edulcorazione a tutti i costi, la semplificazione, la distorsione inquinano la politica e la geopolitica. “Scegliere in politica parole sbagliate significa sbagliare politica”, sostiene a ragione Angelo Panebianco. Se scegliamo la parola sbagliata accade che l’“Islam radicale” o il “fondamentalismo islamista” diventino semplicemente “terrorismo”. Non sapere chi è il nemico o chiamarlo col nome sbagliato (o addirittura “trattarlo da amico”, come diceva Oriana Fallaci) non può portare a nulla di buono.

E la cosa può diventare pericolosa anche quando la distorsione dei termini tende ad attribuire connotazioni negative a chi ha il torto di la pensarla diversamente. Come nel caso dell’aborto, dove i favorevoli vengono definiti “abortisti” e i contrari “antiaboristi”. E’ veramente sorprendentemente che il prefisso “anti-” venga affibbiato non ai sostenitori della morte, ma a quelli della vita. Ed è altrettanto squallido che l’edulcorazione e la falsificazione dei termini vengano applicate senza ritegno alle pratiche di morte. Ecco allora che l’uccisione deliberata del feto diventa “aborto” e che questo si tramuta in “interruzione volontaria di gravidanza” o semplicemente “ivvuggì”. Ecco poi che l’uccisione deliberata della vecchia zia o del nonno diventa “eutanasia”.E che dire di un’altra sigla, la “effe-emme-à”, che sta per “fecondazione medicalmente assistita” (vedasi la famosa Legge 40)? Il ricorso alle sigle è sempre più frequente perché fa fine e non impegna, e poi con le sigle si riescono a nascondere anche le manipolazioni del linguaggio. Si legga il testo di quella legge e si scoprirà che di medico-terapeutico c’è ben poco, tant’è vero che l’uomo o la donna impossibilitati a procreare resteranno tali nonostante la legge e nonostante la sigla. Meglio sarebbe chiamarla “fecondazione umana artificiale con metodi zootecnici”, ma questo sarebbe troppo aderente alla realtà e quindi rislterebbe politicamente scorretto.

E allora, avanti con la distorsione! E così al “sesso” si preferisce il termine “genere”, a “marito e moglie” si preferisce “coniugi” (che in tal modo possono essere anche dello stesso sesso) e a “padre e madre” si preferisce il più vago “genitori”. Quindici anni fa Giovanni Paolo II trattò questi argomenti e denunciò queste storture nell’enciclica Evangelium Vitæ: “Si tende a coprire alcuni delitti contro la vita nascente o terminale con locuzioni di tipo sanitario che distolgono lo sguardo dal fatto che è in gioco il diritto all’esistenza di una concreta persona umana, (…) Proprio nel caso dell’aborto si registra la diffusione di una terminologia come quella di “interruzione volontaria della gravidanza”, che tende a nasconderne la vera natura e ad attenuarne la gravità nell’opinione pubblica”. Altra cosa, infine, è la semplificazione. Nemmeno questa, di per sé, sarebbe dannosa se si limitasse a sintetizzare, a raccontare la stessa verità con il minimo numero possibile di parole. Invece talvolta la semplificazione diventa eccessiva, finendo per allontanarsi dalla verità o addirittura per capovolgerla. All’inizio di agosto 2005, ad esempio, tutti i quotidiani italiani hanno dato ampio risalto al cambio della guardia al vertice della missione ISAF (International Security Assistance Force) a Kabul con titoli tipo “L’Italia gestisce ISAF” e “L’Italia sostituisce la Turchia al vertice di ISAF”.

Spiace deludere tutti coloro (e sono probabilmente molti) che hanno creduto a questi titoli semplificatori, ma non è vero che “l’Italia ha gestito ISAF”, così come non è vero che la Turchia la gestiva prima del 4 agosto 2005. E’ vero, invece, che la missione ISAF, fin dalla metà del 2003, è gestita dall’Alleanza Atlantica su mandato dell’ONU e che la NATO, per assolvere tale compito, si serve a turno dei suoi sei NRDC (NATO Rapid Deployment Corps, comandi di corpo d’armata di reazione rapida). Uno di questi è comandato da un generale turco (all’epoca Ethem Erdagi) e un altro da un generale italiano (in quel periodo era Mauro Del Vecchio), e sono stati proprio questi due ufficiali della NATO ad avvicendarsi a Kabul il 4 agosto. Ovviamente ci fa piacere che uno di questi sei corpi d’armata abbia il comando a Solbiate Olona in provincia di Varese, così come farà certamente piacere ai Turchi il fatto che uno di quei sei comandi sia ubicato ad Istanbul, ma ciò non è sufficiente per affermare che “l’Italia gestisce ISAF” o che “l’Italia ha sostituito la Turchia al vertice di ISAF”, nemmeno quando ciò si verificherà nuovamente in futuro, cosa tutt’altro che improbabile. La linea di comando della missione ISAF, infatti, prevede che il comando di Kabul risponda al comando NATO di Brunssum in Olanda, il quale prende ordini dal Comando Strategico Operativo SHAPE (Supreme Headquarters Allied Powers in Europe) di Mons in Belgio, il quale a sua volta prende ordini dal Consiglio Atlantico di Bruxelles. Come si vede, la catena di comando non passa assolutamente per Roma, né per Ankara.

E speriamo che fra coloro che credono ai titoli dei giornali non ci sia anche qualche parlamentare, italiano o straniero. Altrimenti, ad una eventuale interrogazione su come l’Italia (o un altro paese alleato) gestisca ISAF qualcuno sarà costretto a rispondere: …ebbene no, non è vero che “l’Italia gestisce ISAF”, i giornali hanno scritto cose fuorvianti, proprio come quando hanno scritto “Il terrorismo attacca Londra”. Con quella frase infelice è stato dato un colpo mortale al pensiero di Claudio Magris secondo cui “La correttezza della lingua è la premessa della chiarezza morale e dell’onestà” e ha confermato invece che talvolta la carta stampata è in grado di “riempire il vuoto con il nulla”, come direbbe Giulio Nascimbeni.

Disinformazione, distorsione, semplificazione, complicazione linguistica, antilingua: tutte figlie dell’ignoranza e della “pubblica (d)istruzione”. Ciò non desta meraviglia in un Paese in cui la saggezza media è quella contenuta nel cervello di una “velina” che alla domanda di cultura generale “Come si chiama il satellite del nostro pianeta?” risponde con sicurezza: “Sky!”. Né desta stupore in un Paese in cui ci sono molte più “paninoteche” che biblioteche e dove i tribuni della plebe approdati in parlamento tuonano “In Itaglia c’è troppa corruzzione, usciamo i corrotti dai palazzi dell’aggiustizzia!”. Diceva Italo Calvino che dove trionfa l’antilingua (l’italiano di chi non sa dire “ho fatto” ma deve dire “ho effettuato”) la lingua viene uccisa. Se Calvino sapesse quanto sono cambiate (in peggio!) le cose dai tempi del suo articolo del 1965, sarebbe contento di essere morto. Anzi: diversamente vivo.

© Giornale di Bioetica