
L’India, l’Europa e il nuovo disordine globale

09 Settembre 2025
Il blocco delle autocrazie ha incassato a Tianjin un duplice dividendo: uno politico, l’altro simbolico. Politico perché l’India – la più popolosa delle democrazie asiatiche – ha preso posto accanto a Cina, Russia e ai regimi illiberali dell’Iran e dell’Asia centrale. Simbolico perché il “Sud globale” si è presentato come il nuovo custode dell’ordine post-Yalta, protagonista di una riscrittura della storia alternativa all’egemonia occidentale.
Ma la forma non fa la sostanza: la SCO resta un organismo eterogeneo, privo della coesione e della forza che la Nato ha consolidato in ottant’anni di storia. Ma la presenza della più grande democrazia dell’Asia, l’India, dimostra il potere di attrazione dei regimi regionali.
Il primo ministro Modi ha evitato la parata militare di Pechino e, pochi giorni prima, aveva incontrato il premier giapponese a Tokyo. La sua visita a Tianjin mette in luce un equilibrio precario: diffidente verso Pechino, l’India funge da ponte tra mondi in conflitto, oscillando tra interessi multipolari e prudenza diplomatica.
La ragione di questo scarto non va cercata a Pechino, ma a Washington. L’America di Donald Trump si muove in modo erratico, prigioniera della sua base isolazionista. In Alaska ha offerto a Putin una tribuna insperata; con i dazi al 50% ha umiliato l’India, incrinando venticinque anni di diplomazia paziente, da Clinton a Bush. Non stupisce allora che Modi, ignorando le telefonate della Casa Bianca, si sia fatto vedere a Tianjin accanto a Putin, pur accompagnando quella stretta di mano con parole di pace sull’Ucraina. È il prezzo dell’unilateralismo: nel tentativo di soddisfare i MAGA, Trump rischia di spingere Delhi verso un multipolarismo che rafforza Pechino e legittima Mosca.
È qui che entra in gioco l’Europa. Dopo aver intuito, già al vertice di Anchorage, la traiettoria impressa da Washington, e dopo il rafforzamento del dialogo transatlantico, l’Unione comprende che la sua missione non si limita al contenimento della Russia tramite sanzioni e spese militari. La strategia europea di derisking nei confronti di Pechino non implica un disaccoppiamento radicale, ma la costruzione di un sistema di interdipendenze più sicuro e gestibile. In questo quadro, l’Europa può proporsi come ponte commerciale tra Stati Uniti e Cina, sfruttando la propria posizione geografica, i corridoi indoeuropei e la centralità del Mediterraneo.
Parallelamente, deve anche evitare che l’India scivoli progressivamente lontano dall’Occidente: non coltivando l’illusione di un’alleanza esclusiva, ma rafforzando un legame diplomatico ed economico che mantenga Nuova Delhi agganciata all’ecosistema occidentale, valorizzandone l’ambivalenza. L’Europa può aprire spazi di mercato che compensino i dazi americani, offrire investimenti in energia verde e tecnologie digitali, consolidare la cooperazione marittima nell’Oceano Indiano. In questo modo, può sostenere il “multi-allineamento” indiano senza pretenderne l’esclusività, dimostrando che l’Occidente, pur nella sua pluralità, resta in grado di agire in maniera concertata.
In questo quadro, un’Europa matura deve saper coniugare due missioni: contenere Mosca in Ucraina e connettere Delhi nell’Indo-Pacifico. Non si tratta di un obiettivo marginale, ma di un passaggio cruciale per evitare che la “maggioranza globale” evocata da Putin e Xi si trasformi in un blocco realmente alternativo. Ciò significa riconoscere che Pechino continuerà a muoversi nell’ambiguità, che Mosca sfrutterà la tribuna asiatica e che Nuova Delhi resterà l’ago della bilancia. Mantenere l’India agganciata non garantisce un’alleanza organica, ma può contribuire a preservare uno spazio di cooperazione con l’Occidente e a impedire che le autocrazie dettino da sole le regole del gioco internazionale.