L’indipendenza del Kosovo è ormai necessaria
10 Dicembre 2007
Si apre, questa
settimana, una nuova fase della discussione sullo status del Kosovo. Fallita la
consultazione tra Serbia e la leadership albanese, venerdì scorso la troika diplomatica
(Unione Europea-Stati Uniti-Russia) ha presentato il proprio rapporto al
Segretario Generale dell’ONU Ban Ki Moon. La conclusione è ufficiale e
apparentemente definitiva: nulla di fatto per la mediazione internazionale tra
le due parti.
Fallita la consultazione
tra Serbia e la leadership albanese, la troika diplomatica (Unione Europea-Stati
Uniti-Russia) ha rimesso nuovamente la ‘questione del Kosovo’ al Consiglio di Sicurezza, che dovrà discutere
come risolvere un problema che minaccia di trascinarsi nel tempo con effetti
perversi per la sicurezza regionale e internazionale.
Il ruolo dell’Europa,
importante ma apparentemente messo in ombra finora dal braccio dei ferro tra
Stati Uniti e Russia, in questo momento diventa fondamentale. L’Italia in
particolare potrebbe trovarsi in posizione di regista, per due motivi: occupa
al momento la presidenza del Consiglio
di Sicurezza ed è rappresentata da un ministro, Massimo D’Alema, che ha già
dimostrato in altre occasioni difficili, il Libano per fare un esempio, di
essere un leader capace ed autorevole.
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Cosa si può
realisticamente chiedere all’Italia in queste circostanze? E’ molto probabile
che nulla sarà deciso in sede di Consiglio di Sicurezza, se la Russia
continuerà ad usare il proprio potere di
veto per bloccare qualsiasi cambiamento nello status quo. L’alternativa di una
risoluzione che accetti l’implementazione del piano di Marrti Ahtisaari sembra
molto lontana. Che non si cada nella tentazione, allo scopo di realizzare un
risultato qualunque, di forzare un compromesso in sede di Consiglio facendo
passare l’adozione del piano Ahtisaari, ma tacendo sullo status del Kosovo e lasciando
la questione alla volontà dei singoli paesi Europei.
Sembra, a leggere il
riflesso delle ultime manovre diplomatiche sul recente rapporto
dell’International Crisis Group (Kosovo Countdown: A Blueprint for Transition),
che non occorra neanche una risoluzione del Consiglio di Sicurezza per
realizzare i goal principali del
piano Ahtisaari: trasformare la missione ONU in Kosovo in una missione europea,
costruire isole di sovranità serbe dentro il Kosovo, e prolungare de facto una condizione di protettorato,
qualunque sia la condizione de jure
del Kosovo. Per la UE basterebbe una dichiarazione di Ban Ki Moon.
Sul piano Ahtisaari esiste il consenso del Gruppo
di Contatto, che lo vede come l’unico modo possibile per sbloccare l’attuale status quo. E’ un peccato
che questa ‘verità’ si sia consolidata, perchè apre questioni che moltiplicano
i problemi, invece che risolverli.
All’Europa, Ahtissari
fornisce un minimo comune denominatore di uscita dalla crisi. Alla Serbia,
concede la soluzione da sempre cercata per il Kosovo, cioè la cantonizzazione,
e in più promette di mantenere il Kosovo bloccato per lungo tempo – un paese né
stato veramente indipendente, né completamente colonia, né carne né pesce
insomma. Alla Russia, Ahtisaari regala un modello agibile anche in paesi, come
la Georgia, dove Mosca potrebbe accrescere legalmente la propria influenza, con
il pretesto di proteggere e rappresentare la minoranza dell’Abkhazia, per
esempio.
E’ troppo tardi per
correggere una decisione sbagliata. Ma si può ancora fare qualcosa affinché non
si trasformi in una catastrofe politica. E qui il ruolo dell’Italia e di
D’Alema potrebbe essere cruciale. Potrebbe dimostrare polso e iniziativa per
costruire un fronte unico della UE a
sostegno dell’indipendenza del Kosovo. Se proprio il piano Ahtisaari deve
passare, è fondamentale che la UE in
blocco e gli Stati Uniti riconoscano subito il Kosovo come stato indipendente,
per dargli l’opportunità di sopravvivere.
I rischi e le difficoltà,
oggi come nel 1999, sono troppo grandi sia per la politica che per la coscienza
dell’Europa. La leadership serba, dopo l’assassinio di Djindjic, è tornata alla
politica e alla retorica di Milosevic. Il governo di Kostunica ha appena
lanciato una campagna pubblica che minaccia di omogeneizzare, come nel 1999,
l’opinione pubblica su un revanscismo nazionalista pericoloso (si veda: Byzantine sacred art.com).
Con una straordinaria
inversione propagandistica della realtà, Kostunica cita Lincoln, Kennedy,
Churchill, Brandt e De Gaulle come difensori del proprio paese a ogni costo.
Lasciando da parte ogni commento sugli altri grandi leader storici, De Gaulle
sarebbe un modello perfetto per Kostunica, ma non come difensore della patria:
come leader capace di grandi democratiche decisioni. Fu De Gaulle a capire che
mantenere l’Algeria sotto il governo francese sarebbe stata una catastrofe sia
per Algeri che per Parigi e la mollò. Se volesse davvero ispirarsi a De Gaulle, il
Primo Ministro Serbo Kostunica dovrebbe mollare il Kosovo.
Se il fronte Europeo si
incrinerà sulla questione del Kosovo, come pare possibile dato che non esiste
consenso su un riconoscimento dell’indipendenza in blocco, l’Europa si troverà
a confrontarsi con un nazionalismo serbo rienergizzato, destabilizzante per il
paese stesso e per l’intera regione. Nel 1999, la guerra della NATO contro
Milosevic fu giustificata sul terreno del realismo politico e dell’emergenza
dei diritti umani nella politica internazionale. Si intervenne nel Kosovo per
solidificare la credibilità della NATO e per fermare la politica di Belgrado,
intenta a far pulizia di albanesi dal Kosovo. Oggi la UE e la NATO devono
mantenere la stessa unità per evitare che la vittoria del 1999 si trasformi in
una loro sconfitta.
Per concludere,
un’avvertenza. Il pericolo, per l’Europa, non è quello di un fantomatico stato
islamico in Kosovo, dove la fede mussulmana è completamente separata dalla
politica e non ha nulla a che fare con il jihad globale di Al Qaeda e company.
Il pericolo vero è l’atmosfera da crociata mantenuta in vita da Kostunica che
continua a lamentare la ‘crocifissione’ del Kosovo serbo e vuole trasformare in
conflitto religioso ciò che non è. Ma lo stesso Kostunica non ha ancora speso
una sola parola sulla discriminazione, i massacri e le distruzioni che il suo
predecessore Milosevic ha inflitto agli albanesi con l’aiuto di Nebosja
Pavkovic, il generale suo amico (attualmente all’Aja indiziato di crimini di guerra),
che Limes (Supplemento al no. 2, 2000) in una intervista a Jean Toschi
Marazzani Visconti presentò come “uomo di piacevole aspetto, misurato, una
dizione senza accento, colto, ammiratore delle arti”, ma di cui si doveva
ammirare soprattutto la capacità militare contro la NATO.
Pavkovic, Milosevic e
Kostunica sono la vera ragione per la quale il Kosovo non sarà mai più serbo, perché
una leadership che opprime e uccide la propria popolazione perde il diritto a
governare, de facto e de jure. Nel 1999 D’Alema capì tutto questo, tenne testa
all’opinione pubblica contro la guerra, e mantenne l’unità europea con Blair e
Chirac, violando la sovranità serba per proteggere gli albanesi. Da allora, mutatis mutandis, la situazione non è
cambiata molto. La posta però è più alta, perché al posto di Yeltsin c’è Putin
e la volontà della Russia non di contenere la NATO, ma di interferire nella
NATO. Ragione di più per non cedere.