
L’inflazione, il debito e la trappola della stagflazione. L’unica via è la produttività

12 Ottobre 2022
L’Economist dedica il suo “Report speciale sull’economia mondiale” a quello che chiama un cambio di regime. Il fenomeno inflazionistico e il rinnovato interventismo dei governi in economia, uniti all’urgenza della transizione energetica, l’invecchiamento della popolazione mondiale, e la rinnovata necessità di difesa militare, hanno scardinato la globalizzazione come l’abbiamo conosciuta negli ultimi vent’anni.
Milton Friedman, analizzando le crisi del passato ci insegnò che “each scenario has been the same”; tutte queste recessioni hanno avuto la stessa dinamica. Disponibilità liquide importanti e, parzialmente, fuori controllo, generano un boom e di conseguenza un’elevata inflazione. L’inflazione viene combattuta dalle banche centrali con un incremento dei tassi di interesse che raffreddano l’economia causando una recessione e di conseguenza l’incremento del tasso di disoccupazione. Ciò fino a quando il prezzo politico dell’alta disoccupazione non diviene insostenibile, costringendo le banche centrali ad abbassare nuovamente i tassi, generando di nuovo disponibilità liquide per finanziare la crescita economica.
È importante notare tuttavia che un numero crescente di economisti è d’accordo nell’affermare che la politica monetaria funziona solo se accompagnata da una politica fiscale dello stesso segno: solo quando i policymakers hanno attuato decise politiche di consolidamento fiscale, l’inflazione è effettivamente tornata sotto controllo. Se la politica monetaria è lasciata sola il rischio è che – come affermano Bianchi e Melosi della Federal Reserve Bank di Chicago – produca stagflazione. Uno scenario drammatico, nel quale i prezzi continuano a salire e l’economia ristagna.
La politica monetaria ha già invertito rotta: 33 delle 38 banche centrali monitorate dalla Bank for International Settlements hanno alzato i tassi di interesse nel 2022, con la FED a fare da capofila con l’innalzamento più rapido dal 1980.
Tuttavia, i governi – nel tentativo di proteggere i cittadini dalla pandemia e dalla crisi energetica – si stanno muovendo in direzione opposta. Durante il 2020 e il 2021 hanno speso il 10% del PIL mondiale per sostenere l’economia durante il periodo pandemico e hanno emesso prestiti per un ulteriore 6%. L’impatto dell’intervento dei governi nell’economia è enorme, basti pensare che il solo Inflation Reduction Act dell’Amministrazione Biden peserà circa il 5% di deficit sul PIL statunitense per i prossimi 10 anni; lo scudo energetico tedesco dovrebbe raggiungere la cifra monstre del 5.2% del PIL; per non parlare di quanto sono costate la nazionalizzazione di EDF in Francia e di Uniper in Germania o che impatto avrebbe avuto sul deficit del governo britannico il maldestro tentativo del governo Truss di tagliare le tasse.
L’FMI stima che il solo costo della decarbonizzazione possa costare fino allo 0.2% del PIL per anno, senza contare quindi di tutti i maggiori costi per le aziende e i cittadini che andranno ad alimentare la spirale inflazionistica. Sempre l’FMI stima che la spesa pensionistica e sanitaria dovuta all’invecchiamento della popolazione possa incidere fino a 2-3% del PIL di ciascun anno, il che per un paese come l’Italia – con un debito pari al 140% del PIL e crescita storicamente debole – significherebbe avere un budget surplus di circa il 2% del PIL senza fare ulteriore debito.
E la difesa? Nel 2006 i membri NATO si erano dati l’obbiettivo di spendere il 2% del PIL per la difesa. Nel 2021 la media era il 1.4%: il gap è enorme e la guerra è in casa.
I governi non possono lasciare tutto com’è e pensare di finanziare tutto a debito. Devono prendere coscienza del “cambio di regime”, scongiurare la spirale inflazionistico-recessiva e innescare i presupposti per un rilancio della crescita, più equilibrata e più sostenibile. Perché ciò avvenga è necessario interrompere le politiche patriarcal-inflazionistiche inaugurate nel periodo della pandemia come gli incentivi a pioggia, i bonus, le politiche di welfare “passivo” ed i tagli fiscali senza coperture. Combattere l’inflazione, ridurre il debito e favorire la crescita economica sostenibile è possibile solo se l’economia diviene più efficiente, in grado cioè di produrre, una unità di prodotto con minori unità di lavoro impiegate.
I governi dovranno avere il coraggio di imporre un’agenda fortemente riformatrice con particolare attenzione alla semplificazione burocratica, alla riduzione dei tempi della giustizia, alla liberalizzazione e alla flessibilizzazione del mercato del lavoro, puntando sull’aggiornamento della politica energetica e in ultimo incentivando, in maniera forte e decisa, l’innovazione e la ricerca tecnologica.