L’Italia non ha bisogno di calcoli elettorali ma di vere riforme
05 Febbraio 2009
La proposta di riforma della legge elettorale per le elezioni europee è passata alla Camera e, con il successivo passaggio al Senato, diventerà legge in vigore. La norma è stata approvata con il consenso di tutti i gruppi parlamentari, a eccezione dei deputati radicali eletti nel Pd e d quelli del Movimento per le Autonomie (Lombardo) eletti nel Pdl, oltre che di pochi singoli parlamentari. Tre astenuti, 22 contrari e 517 voti favorevoli: un risultato netto che non si vedeva da tempo in Parlamento su una legge. Adesso sarà difficile che il Senato faccia marcia indietro, non essendoci in sostanza opposizione sul provvedimento. Neppure l’Idv di Di Pietro ha votato contro. Sembra essere stata una prova di prepotenza dei due schieramenti maggiori – il Pd ed il Pdl – finora invece in dura competizione nelle aule parlamentari su tutto.
Non può sfuggire, per convinzione diffusa, che un Parlamento diverso, composto da più gruppi, per l’esercizio arcinoto dei piccoli ricatti e dei veti incrociati, avrebbe incontrato più di una difficoltà per far passare una qualsiasi legge che penalizzasse la rappresentanza politica dei gruppi minori.
Anche lo sbarramento del 4% – l’unica vera novità di rilievo della legge – sembra più frutto di un compromesso che l’esito di una scelta strategica di portata bipolare. All’interno del Pd con D’Alema c’è stata fino all’ultimo anche la tentazione di distinguersi e abbassare lo sbarramento al 3%, ma è sembrata più una questione di immagine che un’effettiva volontà, per essere stata la soglia del 4% già frutto di una serrata e difficile mediazione.
L’incontro tra le richieste di maggioranza e opposizione e la formulazione della legge varata alla Camera appare così più una fotografia del Parlamento attuale, che un orientamento dettato dall’esigenza della semplificazione della politica. Più un accordo elettorale per far fuori le galassie dei personalismi e per riempire il carniere degli eletti dei gruppi più grossi, che la costituzione di un tavolo aperto sulle questioni della governabilità del Paese. Più un espediente partorito dal calcolo, che l’avvio di un confronto sulle riforme, per iniziare a discutere sulle scelte di una democrazia pluralista che privilegi le opzioni della governabilità.
La norma approvata sembra piuttosto un calcolo elettorale in cui il Pdl ha approfittato dell’interesse del PD a frenare le tentazioni centrifughe, nonostante che Veltroni si sforzi a dire che sia stata "una convenienza di evoluzione del sistema politico più che di calcolo elettorale".
Ma agli italiani, agli elettori queste cose interessano meno. I fautori del bipolarismo ritengono la soglia del 4% assai bassa, mentre i militanti dei piccoli partiti la ritengono troppo alta, e ritengono che nel complesso sia una legge che limita il pluralismo e la democrazia. Mastella diventa persino solenne e parla di "offesa alla libertà e al pluralismo che sono componenti essenziali della democrazia".
Ma nel Paese è bene che si ponga al più presto la questione che si dipana dal dubbio se si debba privilegiare la libertà politica o la libertà dalla politica. L’aria di protesta che trae linfa dalla questione morale e che fa sorgere o gonfiare movimenti che si propongono di "giustiziare" i colpevoli, anche attraverso processi sommari nelle piazze o nelle arene televisive dove agiscono "reucci" e "censori" che si auto-proclamano difensori delle virtù popolari, appartiene al partito della libertà politica o a quello della libertà dalla politica?
Siamo a questo punto perché il Paese si avvolge intorno ai personalismi, alle guerre tra bande, anziché iniziare un percorso di scelte per la governabilità nell’interesse di tutti. Siamo a questo punto perché lo spazio della protesta civile è stata appaltata da uomini senza storia e senza tradizioni e che nulla hanno a che fare con la civiltà e le conquiste democratiche dell’Italia.
L’ideale sarebbe avere il coraggio di promuovere le vere e indifferibili riforme, da quella elettorale a quella Costituzionale, perché ci sia libertà "di" e libertà "da", togliendo per un momento, per come è (male) inteso oggi in Italia, il sostantivo "politica". Nelle democrazie compiute ci sono maggioranze e opposizioni legittimamente costituite che si rispettano e si alternano al governo e senza i Mastella, di Di Pietro, i Casini, la stessa Lega e altri che, ai lati, o nell’area di mezzo, sono portatori di furbizie e di particolarismi, nonché manovrati da caste corporative ed egoismi locali.