Luci e ombre della tecnologia civile e militare

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Luci e ombre della tecnologia civile e militare

28 Maggio 2010

Le grandi scoperte, invenzioni, innovazioni e conquiste in campo sia civile che militare hanno sempre suscitato dubbi e opposizioni anche da parte di personaggi famosi. Socrate, ad esempio, favorevole alla tradizione orale, era contrario alla scrittura, che secondo lui avrebbe atrofizzato le menti: “I testi scritti causeranno l’oblio nelle anime dei discenti, che si affideranno ai caratteri scritti anziché sforzarsi di ricordare le cose”, ammoniva.

In pieno Medioevo, nel 1300 circa, i primi esemplari di cannone sparavano una grossa freccia che spesso non colpiva il bersaglio o, peggio, finiva per colpire gli spettatori delle dimostrazioni, cose che fecero dichiarare ad uno storico dell’epoca: “Il cannone è incontrollabile e troppo costoso, colpisce un uomo solo come fa la balestra: non avrà avvenire”.

Anche l’invenzione degli scritti per la gioventù è stata avversata con forza: “Il libero accesso che molti giovani hanno a romanzi e novelle ha avvelenato la mente e corrotto la morale della nostra gioventù”, diceva Enos Hitchcock nel 1790. Il telefono, ammirato da molti, fu inizialmente criticato da altri, anche da chi se ne intendeva come Sir William Preece, del British Post Office, che nel 1878 sentenziò: “Gli Americani avranno bisogno del telefono, ma noi no: noi abbiamo tantissimi messi”.

Nemmeno gli aerei vennero inizialmente presi sul serio: il matematico e astronomo Simon Newcomb, nel 1903, proclamò la sua convinzione secondo cui “volare con macchine più pesanti dell’aria è impraticabile, irrilevante se non assolutamente impossibile”. Dopo diciotto mesi fu smentito dai fratelli Wright, che riuscirono a far volare il loro aeroplano a Kitty Hawk. Ma solo otto anni più tardi, nel 1911, il Generale Ferdinand Foch, poi comandante delle forze anglo-franco-americane nella grande guerra, fece una delle previsioni più errate della storia: “Gli aerei sono giocattoli interessanti, ma di nessun valore militare”. E a proposito di volare, il New York Times sentenziò nel 1936 “Un razzo non sarà mai in grado di abbandonare l’atmosfera terrestre”.

E la radio? “Non è immaginabile che la radio abbia un valore commerciale. Chi mai vorrebbe pagare per un messaggio che non viene mandato a nessuno in particolare?”, si chiesero nel 1921 i colleghi di David Sarnoff rispondendo ad uno dei suoi accorati appelli per gli investimenti nel settore delle trasmissioni radiofoniche. E che dire del cinema? “E’ il male assoluto” disse un suo denigratore nel 1910, ma una ventina d’anni più tardi Mussolini sarebbe andato contro la corrente di scetticismo, affermando “Il cinema è l’arma più potente”.

Per restare in argomento: “Chi diavolo vorrebbe sentire un attore parlare?”, disse nel 1927, estremamente scettico sul futuro del film sonoro uno che la sapeva lunga, nientemeno che Mr. Warner, fondatore della celebre Warner Bros. Anche alla televisione venne predetto un futuro oscuro da parte di Mary Somerville, pioniere delle trasmissioni educative via radio, che nel 1948 dichiarò La televisione non durerà. E’ solo un fuoco di paglia”.

Nella seconda metà del secolo scorso, nel 1954, si temeva che i libri comici avrebbero portato bambini e ragazzi nella delinquenza, nel 1956 si paventava che il rock’n’roll avrebbe trasformato i giovani in “adoratori del Male”, e nel 1967 David Riesman, sociologo conservatore americano più che scettico sull’emancipazione femminile, previde “Se qualcosa in futuro rimarrà più o meno immutato, sarà il ruolo delle donne”.

Dieci anni più tardi, nel 1977, Ken Olson, presidente, direttore e fondatore di una grande azienda di computer, cercò di stroncare il nascente personal computer dichiarando seccamente “Non c’è alcuna ragione per cui qualcuno dovrebbe volere un calcolatore nella sua casa”.

Anche Hillary Clinton ha reclamato la sua dose personale di tecnofobia quando nel 2005 ha affermato che “i videogames rubano l’innocenza dei nostri bambini”. Barack Obama è un caso a parte. Fedele al principio veltroniano del “ma anche”, l’attuale inquilino della Casa Bianca passa con disinvoltura dalla tecnocrazia alla tecnofobia a seconda dell’uditorio. Il 9 maggio 2010 ha dichiarato agli studenti della Hampton University: “Con iPods, iPads, Xboxes e Playstations (nessuno dei quali io so come funzioni) l’informazione diventa una distrazione, una diversione, una forma di intrattenimento, piuttosto che uno strumento che aumenti le nostre capacità”. E l’uditorio non credeva alle proprie orecchie, sapendo che Obama non si separa mai dal suo BlackBerry e ricordando la sua campagna elettorale all’insegna di Internet, YouTube e Facebook.

Ma la tecnologia avanza e si innova malgrado i tecnoscettici e i tecnofobici, e talvolta si rivela un elemento facilitatore della democrazia e aggiratore della censura, come quando i videofonini hanno permesso la divulgazione di eventi che in loro mancanza sarebbero rimasti ignoti, come gli abusi sui detenuti di Abu Ghraib e le recenti rivolte dei tibetani, degli uiguri del Sinkiang e degli oppositori iraniani.

Certo, prima o poi si dovranno individuare precisi limiti etici, soprattutto quando si tende a sostituire l’essere umano con la macchina. Un settore delicato, da questo punto di vista, è quello dei robot militari. In conseguenza della doppia esigenza di non subire perdite e di reperire forze nuove, il Pentagono sta per sfornare una nuova generazione di soldati: “Non avranno fame, non avranno paura, non dimenticheranno gli ordini ricevuti, non saranno sopraffatti dalle emozioni, non gliene fregherà niente se un loro camerata verrà colpito a morte, insomma assolveranno il compito molto meglio dei soldati tradizionali”. Queste parole sono di Gordon Johnson, del Joint Forces Command USA e si riferiscono al soldato americano del futuro: il robot, questo strano “personaggio” che ha preso il nome dalla parola russa che significa “lavoro”.

I robot combattenti saranno la componente principale del progetto “Future Combat Systems”, che con i suoi 127 miliardi di dollari sarà il più colossale contratto americano della storia. Questo progetto ha già fatto lievitare il bilancio del Pentagono del 20% in 5 anni, vale a dire dai 419,3 miliardi di dollari del 2006 ai 502,3 miliardi del 2010. E anche le facoltà “mentali” dei robot aumenteranno: inizialmente saranno controllati da lontano e sembreranno poco più che giocattoli letali, ma in seguito, man mano che le nanotecnologie miglioreranno, aumenteranno sia la loro autonomia che la loro intelligenza, e saranno capaci di distinguere gli amici dai nemici e i combattenti dagli innocui civili. Insomma “ragioneranno” come gli esseri umani, anche se bisognerà aspettare fino al 2035 per vedere all’opera un combattente robotizzato pensante che raccoglie informazioni, analizza in un batter d’occhio il campo di battaglia, seleziona armi e munizioni, elimina avversari, ispeziona edifici e li fa saltare in aria.

E non è solo fantascienza. Gli studi sui robot sono di casa al Pentagono fin dagli anni ’70 dello scorso secolo e dal 2006 in poi centinaia di robot hanno liberato le strade di Bagdad e di altre città irakene dagli ordigni esplosivi. Contemporaneamente, altri robot stanno esplorando grotte e cunicoli in Afghanistan e altri ancora, in qualità di sentinelle armate, stanno sorvegliando depositi di munizioni nelle basi americane sparse in tutto il mondo. Nonostante gli elevati costi, i robot consentiranno anche di risparmiare denaro. Si pensi, infatti, che un soldato professionista americano, dal suo arruolamento al suo congedo, costa circa 4 milioni di dollari, mentre un robot come quelli attualmente in servizio, completo di batterie al litio, cingoli per muoversi su qualsiasi terreno, telecamere, antenne, microfoni, armi e munizioni costa soltanto 230.000 dollari, e non ha bisogno di seccature aggiuntive come lo stipendio, le varie indennità e il trattamento pensionistico.

Tuttavia non mancano gli inconvenienti, e non sono da poco. Fra i tanti, ricordiamone tre. Il primo è che ricorrere esclusivamente alla tecnologia non risolve tutti i problemi. Nelle operazioni di stabilizzazione e ricostruzione, in particolare, è essenziale il contatto con la popolazione locale, ma se ricorriamo alla tecnologia proprio per minimizzare o annullare questi contatti, finiremo per alienarci il supporto della gente.

Il secondo inconveniente è che finora le invenzioni, dall’arco alla corazza, dal carro armato alla bomba atomica, sono sempre arrivate in largo anticipo sulle strategie e le dottrine che le avrebbero dovute controllare. Accadrà la stessa cosa anche con i robot combattenti? Probabilmente sì, e con un terzo inconveniente, di carattere giuridico. È quanto meno pericoloso il diffondersi della mentalità secondo cui poco importa se un robot farà saltare in aria uno scuolabus anziché un carro armato. Tanto, essendo solo un ammasso di ferraglia, non sarà penalmente perseguibile.