L’ultima mazzata al Pil la daranno i partiti in campagna elettorale
03 Luglio 2022
La democrazia parlamentare va sempre difesa, i partiti italiani in questa fase storica meno, bisogna ammetterlo. Dopo aver chiamato al loro capezzale Mario Draghi, perché non riuscivano a fare quello che avrebbero dovuto, finché gli è convenuto i partiti hanno sbandierato la unità nazionale. Anche chi era alla opposizione ha avuto toni concilianti. Adesso però con l’avvicinarsi della fine della legislatura e guardando ai sondaggi, forze politiche di maggioranza come il Movimento 5 Stelle tornano a coltivare il proprio orticello nella speranza di recuperare i consensi perduti. Che dovessimo entrare in campagna elettorale lo sapevamo. Che ognuno avrebbe ripreso a coltivarsi il proprio elettorato poteva anche essere comprensibile fino a pochi mesi fa.
Mario Draghi aveva riassestato il timone del Paese, le prospettive di crescita del Pil erano positive, i tassi d’interesse della Bce bassi. A differenza degli statisti che c’erano prima era arrivato qualcuno in grado di gestire i 200 miliardi di euro del recovery europeo per la ricostruzione dopo la fase più dura della pandemia. La invasione criminale della Ucraina ordinata dal regime di Vladimir Putin ha rovesciato il quadro, andando a riacutizzare tutti i mali storici strutturali della nostra economia.
Le previsioni di crescita si sono dimezzate. Siccome ci eravamo legati mani e piedi alle risorse energetiche russe, un altro grandissimo risultato della classe politica italiana negli ultimi anni, ora siamo costretti a stoccare scorte. Se il boss del Cremlino dovesse tagliare del tutto le forniture (ha fatto ben di peggio), le previsioni sul Pil andranno in territorio negativo, gli investimenti spinti dal Pnrr li vedremo spiaggiare come balene insieme ai consumi. La recessione non sarà più uno spettro. Alla questione energetica aggiungiamo, uno, l’inflazione che veleggia su cifre che non si vedevano da decenni. E due, la decisione discutibile della Bce di alzare i tassi di interesse, probabilmente anche a settembre. Un terreno sdrucciolevole per fare campagna elettorale.
Decisione discutibile ma neanche troppo considerando che la tenuta dei nostri conti e del nostro debito dipende ancora una volta dalle scriteriate politiche di spesa pubblica messe in atto dai partiti medesimi. Spendere e spandere del resto per i partiti è sempre stata la vera forma di unità nazionale. Per cui è davvero istruttivo per elettori e opinione pubblica guardare alle beghe politiche di queste ore. Si balocca di un ritorno alle urne perché il sindaco di Roma vuol fare, per ora lo dice soltanto, un termocombustore per completare il ciclo di smaltimento dei rifiuti. In una capitale che finisce sulle prime pagine dei giornali internazionali per lo schifo di monnezza che c’è in giro. E poi si lamentano se i turisti stranieri non tornano.
Si vuol far cadere il governo perché qualcuno giustamente si chiede per quanto altro tempo dovremo continuare a pagare lo stipendio a tanti italiani che sono nelle condizioni di poter lavorare. Almeno 2 milioni di percettori del reddito di cittadinanza secondo i dati disaggregati dal professor De Masi, che con le sue dichiarazioni in radio ha combinato un finimondo. Italiani che continuano ad avere lo stipendio statale in salotto, per non dire di quelli che hanno già incassato il reddito di criminalità tra truffe e raggiri vari. E così via con il programma delle stelle.
Siamo in una democrazia parlamentare e i partiti hanno tutto il diritto di far cascare un governo per rispettare i propri impegni con gli elettori, oppure uscirne, dal governo, aggiungendo instabilità politica al resto del quadro che abbiamo descritto. Guerra, gas, inflazione e campagna elettorale. Facciano pure. Chi semina vento raccoglie tempesta.