Macché “reazione spropositata”: l’11 Settembre è stato come Pearl Harbour

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Macché “reazione spropositata”: l’11 Settembre è stato come Pearl Harbour

Macché “reazione spropositata”: l’11 Settembre è stato come Pearl Harbour

09 Settembre 2011

L’ultima vulgata sull’11 Settembre recita così: abbiamo creato un decennio di guerra. Abbiamo avuto reagito esageratamente – al Qaeda si è rivelata una tigre di carta; non c’è mai stato il famoso secondo attacco – e così facendo ci siamo messi sull’orlo della bancarotta, abbiamo distrutto il nostro morale, e ci siamo indirizzati verso il declino nazionale.

Il Segretario alla Difesa ha dichiarato che al Qaeda è sull’orlo di una sconfitta strategica. Vero. Ma perché? Al Qaeda non si è mica implosa spontaneamente. In dieci anni Osama bin Laden è passato dall’essere l’emiro dell’islam radicale, l’eroe del jihad, l’uomo il cui nome veniva dato ai bambini in tutto il mondo musulmano – a un patetico e vecchio recluso, praticamente in isolamento, costretto a guardare la propria ombra di fronte a un televisore da quattro soldi in una stanza vuota.

Cos’è che ha trasformato il cavallo vincente in perdente? Precisamente la massiccia e implacabile guerra al terrorismo dell’America, una campagna sistematica su scala globale condotta con crescente sofisticazione, efficienza e letalità – adesso gratuitamente liquidata e denigrata con l’epiteto di “reazione esagerata”.

Come prima cosa abbiamo combattuto la campagna afghana, un tempo così universalmente condivisa che i Democratici per anni hanno rimproverato il President Bush di non averci messo dentro abbastanza “sangue e soldi”. Ora quella campagna è ridotta a mero oggetto di conversazione con la definizione di “una delle due guerre”, le stesse che ci avrebbero mandato alla bancarotta.

Nonostante tutto, l’intervento in Afghanistan è stato fondamentale per sconfiggere i jihadisti tanto allora come oggi. Oggi pensiamo al Pachistan come un santuario per i terroristi. Ma ci manca la lucidità per vedere che l’Afghanistan è il nostro santuario, la base dalla quale abbiamo mano libera per bombardare “Jihad Centrale” in Pachistan e le regioni limitrofe. 

Anche l’Iraq è stato decisivo, ma non nel modo che ci saremmo aspettati. Non l’abbiamo scelta come centro di scontro contro al-Qaeda più di quando Eisenhower non avesse scelto la Battaglia di Bulge per mettere una parola fine sulle forze militari tedesche.

Al-Qaeda, senza alcun invito, ci è venuta appresso in Iraq per combatterci, e  il risulato è stato che non solo è stata solo sconfitta, ma è stata anche umiliata. La popolazione locale – arabi, musulmani, e sunniti – presuntamente sotto il tacco dell’invasore, hanno fatto quadrato con gli infedeli e si sono buttati nel mucchio contro i jihadisti. Si è trattato di una sconfitta unica dalla quale al Qaeda non si è mai ripresa.

Vero, in entrambe le guerre sono stati fatti tanti esperimenti, errori, e spesso ci sono state tante tragiche perdite. In Afghanistan, troppa enfasi sul nation-building. In Iraq, i sanguinosi anni di mezzo prima che trovassimo il nostro generale e la nostra strategia. Ma, in fondo, lo stesso non può essere detto, per esempio, sulla Guerra Civile, di quei terribili anni prima che Lincoln trovasse il suo generale? Oppure la campagna del Pacifico durante la Seconda Guerra Mondiale, con la sua miriade di calcoli fallaci, il suo discutibile spostamento di isola in isola, che è costate molte vite americane risparmiabili?

In conclusione: dieci anni trascorsi, nessun secondo attacco famigerato (che in sostanza tutti si aspettavano già nei mesi successivi). E questo testimonia l’altro grande risultato della decade: la creazione affrettata da parte del Presidente Bush di un apparato anti-terrorismo sulla scia dell’11 Settembre, poi continuato dal Presidente Obama. Perché continuato? Perché ha funzionato, ecco perché. Ci ha protetto – intercettazioni senza autorizzazione giudiziaria, il Patriot Act, le extraordinary rendition, le detenzioni preventive e infine, ebbene sì, Guantanamo.

Sarà, dicono i numi tutelari della nuova vulgata della “reazione esagerata”, ma questi sforzi hanno mandato in bancarotta la nazione e portato al nostro attuale stato di disperazione e declino.

Stupidaggini. Il costo totale delle “due guerre” è stato di 1,3 trillioni di dollari. E’ meno di 1/11 del totale del debito nazionale statunitense, meno di un anno di deficit di Obama. Durante l’età d’oro di Eisenhower, negli anni ’50, quando il paese era in un fase di una crescita robusta al 5% annuo, la spesa in difesa era all’11% del PIL e contava per il 60% del budget. Oggi, la spesa in difesa è il 5% del PIL e conta per il 20% del budget. E tanti saluti ai sostenitori dell’iperestensione imperiale.

Sì, è vero, siamo a due passi dalla bancarotta. Ma ciò ha a che fare con la guerra al terrorismo quanto ne ha con le macchie solari. L’imminente insolvenza non viene certo dal nostro bilancio della difesa – peraltro in diminuzione – ma dell’esplosione degli entitlement (ndt. in italiano tradurremo il termine con ‘erogazioni statali per gli aventi diritto’). Divorano quasi la metà del bilancio federale.

La Grande Recessione del 2008 e il successivo collasso finanziario si possono attribuire a incaute politiche federali, le stesse che hanno spinto molti all’acquisto della prima casa avvelendosi di rischiosi prestiti subprime; oppure si può dare la colpa a Fannie Mae e Freddie Mac; o se volete agli avidi banchieri, a prestatori senza scrupoli, a ingenui (e avidi) acquirenti immobiliari. A prodotti derivati computerizzati talmente complessi e intrecciati da eludere i controlli. Ma la guerra al terrorismo non c’entra proprio un bel niente con tutto questo. E’ un’assurdità.

L’11 Settembre è stata la nostra Pearl Harbour. Però stavolta il nostro nemico non aveva un indirizzo. Nessuna Tokyo. Ed è proprio questa la ragione per cui la guerra che combattiamo oggi non sarà chiusa in soli quattro anni. E’ stata una guerra non-convenzionale condotta da nemici non-convenzionali associati a una comunità religiosa su base planetaria. E nonostante tutto, in una decina di anni, li abbiamo in larga parte disarmati e sconfitti, e abbiamo sviluppato strumenti per continuare a braccare ciò che ne rimane con costi in rapida diminuzione. Si tratta di un risultato storico.

Le nostre difficoltà e la nostra malinconia di oggi sono quasi interamente economiche nelle loro cause, il frutto amaro di incaute politiche fiscali, regolatorie e monetarie le quali non hanno nulla a che fare con l’11 Settembre. L’attuale demoralizzazione dell’America non è il risultato della guerra al terrorismo. Al contrario. La denigrazione della guerra al terrorismo è il risultato dell’attuale demoralizzazione, di un modo di leggere l’odierno malessere nella reale – e condotta con successo – storia della nostra reazione all’11 Settembre.

Tratto dal Washington Post

Traduzione di Edoardo Ferrazzani