Medvedev guarda al futuro della Russia e punta su se stesso per  il dopo Putin

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Medvedev guarda al futuro della Russia e punta su se stesso per il dopo Putin

Medvedev guarda al futuro della Russia e punta su se stesso per  il dopo Putin

11 Aprile 2009

Quando Vladimir Putin abbandonò la presidenza della Russia lo scorso maggio, lasciò ben poco al caso. Come il suo predecessore Boris Yeltsin aveva fatto con lui, Putin fece in modo che il suo fedele protetto da più di 20 anni, Dmitry Medvedev, prendesse il suo posto. Assunse la guida del principale partito politico del paese, Russia Unita; poi, in veste di Primo Ministro, ridefinì il proprio ruolo ben oltre quanto prevedeva la Costituzione. Per quanto Putin avesse spostato le sedie occupate dall’orchestra, era sempre lui a decidere la melodia. Quantomeno fino ad ora.

Mentre l’economia russa prosperava grazie al petrolio, il popolo accettava l’accordo implicitamente proposto da Putin: corruzione nel governo e diritti civili ridotti, in cambio dell’innalzamento del livello di benessere per la nazione. Oggi tuttavia, con l’economia russa in piena crisi, questo contratto sociale si sta logorando. La popolazione russa scende in strada ed esige quel tipo di cambiamento che Putin difficilmente potrà portare. Putin simboleggia la vecchia guardia del KGB che ha messo la Russia nei pasticci; prima o poi, diverrà la principale vittima della crisi finanziaria russa.

Medvedev – avvocato di professione e per inclinazione – probabilmente rappresenta l’unica speranza concreta di cambiare le cose in Russia, ma non avrà alcun margine di manovra finché Putin sarà di fatto al potere. Apparentemente consapevole di ciò, nelle ultime settimane Medvedev ha iniziato a prendere le distanze dal suo mentore, e potrebbe stare già muovendo i primi passi per estrometterlo dal governo.

Quando Medvedev divenne presidente nel maggio 2008, la situazione economica mondiale pareva stabile. Il petrolio era a più di 140 dollari al barile, e i leader politici russi cavalcavano l’onda con successo. Con la qualità della vita in crescita per la maggior parte della popolazione, la classe politica aveva il vantaggio di non dover prendere decisioni difficili.

Ciò nonostante, verso la fine del 2008 la crisi finanziaria globale ha raggiunto il suo apice. Le leadership russe sono state lente a realizzarlo; hanno dato all’Occidente la colpa delle loro stravaganze, sostenendo che la Russia sarebbe stata al sicuro. Presto però il paese ha subito un triplo shock: il petrolio è precipitato sotto i 40 dollari al barile, le richieste di esportazioni russe si sono inabissate velocemente, e le istituzioni finanziarie dell’Occidente hanno iniziato a riscuotere i prestiti concessi.

Il rublo si è deprezzato al punto da arrivare, nel febbraio 2009, a 36 rubli per dollaro, riflettendo una costante perdita di fiducia nell’economia russa. Di conseguenza, il prezzo delle importazioni in dollari è aumentato esponenzialmente. Il tasso di disoccupazione è salito all’8,1%, e la maggioranza degli esperti pronostica ulteriori aumenti nel trimestre successivo. Ovviamente l’indice di approvazione della classe politica russa è precipitato. Nonostante i sondaggi oggi non mostrino ancora un malcontento fortemente diffuso nell’opinione pubblica, né la prospettiva di disordini, essi riflettono evidentemente una tendenza in ribasso.

In qualche modo, Medvedev si è sempre atteggiato a riformatore. Con l’aggravarsi della crisi, il Presidente è stato particolarmente attento a prendere le distanze da Putin: le differenze tra le loro concezioni politiche su vari temi – tra cui la risposta alla crisi finanziaria, la titolarità del potere accusatorio, l’uso della forza contro i manifestanti, la condotta dei giudici in tribunale e la definizione del reato di tradimento – sono sempre più sostanziali, e vanno acutizzandosi.

Anche le discrepanze stilistiche sono in aumento. Le dichiarazioni ufficiali rilasciate da Medvedev riguardo all’assassinio degli attivisti per i diritti civili Anna Politkovskaya, Stanislav Markelov ed Anastasia Baburova, differiscono marcatamente nel tono e nella sostanza dalla risposta di Putin. Medvedev ha un’impostazione diversa, meno nazionalista e più tollerante rispetto a Putin, anche in merito all’Islam e alla sicurezza nazionale.

Tali differenze riflettono fondamentalmente le disparità di carattere tra i due uomini. Dopotutto Putin è il prodotto del KGB, della plutocrazia sanzionata dal governo e della guerra fredda. Medvedev è il figlio dell’intellighenzia russa, dell’accademia di giurisprudenza e del mondo post-sovietico dell’integrazione globale e delle opportunità. Nonostante abbiano collaborato per vent’anni, Putin e Medvedev sono molto diversi; e in un contesto di rivalità politica, hanno seguaci differenti.

Il popolo russo è consapevole di questo divario in continuo aumento. Lo scorso febbraio, il settimanale economico Kommersant-Vlast ha pubblicato una raccolta di editoriali dal titolo “Medvedev licenzierà Putin? Non è ora che il Primo Ministro Putin parli dei risultati del piano anticrisi?”. Nonostante il dibattito non dia risposte conclusive, in un paese dove il governo ha soffocato la stampa per anni, già il fatto che ci si ponga queste domande è di per sé provocatorio. Nel frattempo, la popolarità di Medvedev è in aumento. Secondo un sondaggio nazionale dello scorso febbraio, il 73% degli intervistati ha dichiarato di potersi fidare di lui, in confronto al 56% del 2006. Seppure sia impossibile prevedere quello che accadrà, una cosa è certa: le dinamiche di potere odierne stanno cambiando, e lo fanno rapidamente. Se si continuerà in questa direzione, Medvedev certamente inizierà a chiedersi perché si sta accontentando di fare ancora da secondo a Putin.

Certo, un conto è inneggiare bonariamente al riformismo; capitalizzarne i risultati positivi è tutt’altra cosa. Il Primo Ministro è indubbiamente un avversario degno di stima, ma ha i suoi lati vulnerabili. Ad esempio, Medvedev potrebbe gettare le basi per una manovra contro Putin ponendo la corruzione e la sua guerra al “nichilismo giudiziario” al centro della sua politica interna. Non sarebbe affatto insolito: in passato, ogni singolo leader russo ha condannato pubblicamente la corruzione, senza per questo prendere provvedimenti per controllarla o persino, di fatto, abusandone.

Ciò nonostante, nell’era Putin il livello di corruzione è cresciuto esponenzialmente senza nessun reale controllo da parte delle autorità competenti, dalla legislazione ai media alla società civile. Inoltre il Primo Ministro stesso e i suoi più stretti collaboratori ne sono colpevoli. Stanislav Belkovsky, analista politico russo, ha rilasciato nel novembre 2007 un’intervista sensazionale ai quotidiani Die Welt e The Guardian, affermando che Putin valeva circa 40 miliardi di dollari. Belkovsky sostenne che Putin possedeva il 37% di Surgutneftegaz (18 miliardi), 4,5% di Gazprom (13 miliardi) e metà della compagnia petrolifera svizzera Gunvor (10 miliardi), gestita da un ex agente del KGB di San Pietroburgo. Se questi dati sono veri, una tale fortuna renderebbe Putin uno degli uomini più ricchi d’Europa e possibilmente del mondo. Lo annovererebbe anche tra i più corrotti. Se in tempi economicamente fiorenti la maggioranza dei russi si accontentava di guardare dall’altra parte, in circostanze più difficili la gente esige maggiore chiarezza e senso di responsabilità.

Dunque per Medvedev la nuova legge anticorruzione, che lui stesso nel dicembre 2008 ha accompagnato nel suo iter burocratico alla Duma, rappresenta una potenziale opportunità per intimidire Putin e i suoi sostenitori. Le norme vietano il conflitto di interesse, richiedono ai funzionari di governo di denunciare i propri redditi e proprietà, e li obbligano a segnalare le inadempienze dei colleghi. Si tratta di un documento tagliato su misura, che mira indirettamente a inficiare il potere e la legittimità di Putin. Gran parte degli amici e degli alleati del Primo Ministro all’interno del governo, così come nelle grandi imprese, troverebbe alquanto impegnativo fornire piena disponibilità e trasparenza riguardo ai propri conflitti di interesse. Con una nuova legge anticorruzione sul tavolo, Medvedev ha senza dubbio un asso nella manica.

Seppure i legislatori abbiano tentato di rivedere alcuni articoli e di posticipare la sua entrata in vigore, Medvedev ha evitato che la legge subisse modifiche troppo drastiche. L’impegno personale e inequivocabile del Presidente contro la corruzione sembra suggerire che non è più tempo per i vecchi imbrogli.

Anche sul fronte del pubblico impiego Medvedev si è subito distinto da Putin, assumendo 1000 nuovi imprenditori di successo per ricoprire posizioni chiave nel suo governo. Questo giro di assunzioni, annunciato la scorsa estate, ha rappresentato la risposta dello Stato alle difficoltà sperimentate nell’identificare e scegliere personale competente per i pubblici impieghi. È inoltre emersa la mancanza di un sistema reale di selezione per le posizioni governative, nonché la necessità di formare una nuova generazione di esperti che rimpiazzi la nomenklatura dell’era sovietica.

È importante notare come Medvedev abbia riscosso il favore dei comunisti così come dei nazionalisti e dei liberali nel creare un gruppo di potenziali dipendenti, piuttosto che favorire Russia Unita nella selezione. Nonostante alcuni dei 1000 favoriti fossero già personaggi di spicco della presidenza Putin, l’elenco non sembra contenere suoi consiglieri. Con queste assunzioni, Medvedev si è posizionato all’avanguardia di un importante ricambio generazionale nella leadership politica russa.

È curioso guardare a ciò che Putin fece già anni fa, in un certo senso scrivendo il proprio destino e creando un precedente politico per la sua deposizione. Appena dopo la temporanea cessione della responsabilità presidenziale da Yeltsin a Putin il 31 dicembre 1999, quest’ultimo emanò il Decreto Presidenziale 1763, che garantiva a Yeltsin e alla sua famiglia l’immunità permanente da qualsiasi indagine, sanzione amministrativa, arresto, detenzione e interrogatorio. Per come stanno le cose oggi, non è improbabile ipotizzare che Medvedev offra un accordo simile a Putin.

Se invece i due leader non riuscissero a raggiungere pacificamente un accordo, Medvedev potrebbe scegliere di usare la nuova legge anticorruzione con un succedaneo. Sceglierebbe qualcuno ragionevolmente vicino a Putin, con un passato affine nel KGB o in ambito giuridico – come si direbbe in russo, un silovik. Il governo porrebbe sotto inchiesta un membro (o ex membro) del governo per aver occultato informazioni rilevanti sul proprio reddito e i suoi beni, per non aver notificato le inadempienze dei suoi subordinati o aver avuto conflitti di interesse. Una volta intrapreso questo cammino, il messaggio del governo ai sostenitori di Putin sarebbe chiaro: attenzione, o voi sarete i prossimi.

Perché Medvedev dovrebbe rivoltarsi contro il proprio padrino? Per assicurare la sopravvivenza politica al proprio governo, a se stesso e persino a Putin. Se non ci sarà un capro espiatorio per il fallimento economico della Russia, tutto il regime potrebbe cadere. Contando sul fatto che i russi ne hanno oramai abbastanza di sommosse e rivoluzioni, Medvedev potrebbe confidare nel fatto che scaricare Putin sia sufficiente a mantenere intatto il sistema.

Si avvicina il momento in cui Medvedev offrirà a Putin un accordo che quest’ultimo non potrà rifiutare. Un vero cambio di potere, a differenza di quello simbolico dello scorso maggio, rappresenterebbe la migliore speranza affinché la Russia superi pacificamente la sempre più profonda crisi economica e politica che oggi sta attraversando. 

© Foreign Policy
Traduzione Alia K. Nardini

Ethan Burger è professore associato al Dipartimento di Giurisprudenza presso la Georgetown University. Mary Holland dirige il programma di studi legali nel Dipartimento di Legge della New York University. Entrambi si sono occupati degli sviluppi della politica russa per più di 20 anni.