Nazionalizzare Alitalia sarebbe un errore imperdonabile
30 Aprile 2008
Non passa giorno che non si parli di Alitalia e del suo
futuro, sempre avvolto nell’ombra. Dopo la dipartita di Air France-Klm e la
vittoria delle elezioni politiche da parte del Popolo della Libertà, si è
parlato a lungo dell’ipotesi della cordata italiana. Ma dopo il maxi
prestito-ponte di 300 milioni di euro concesso nei giorni scorso dal Consiglio
dei Ministri per dare liquidità all’impresa, spunta una nuova ipotesi, quella
della nazionalizzazione.
Proprio alla luce dell’immissione
dei famosi 300 mln nelle casse di Alitalia, la Commissione Europea ha cercato
di chiarire le posizioni prese dallo stato italiano nei confronti di un’impresa
che non potrebbe ricevere aiuti finanziari fino al 2011. Infatti, l’ultima
sovvenzione statale concessa alla nostra compagnia aerea è stata nel 2001 e la
legislazione comunitaria impedisce di fornire finanziamenti verso imprese
private per più volte nell’arco di dieci anni, anche se forniti a tassi di
mercato. Verosimilmente, nessun investitore privato avrebbe deciso di concedere
un prestito ad una società in costante perdita e contesa fra la classe politica
e quella sindacale. Ma, come un lampo nella notte, sono arrivate la parole del
premier in pectore, Silvio Berlusconi, che ha risposto seccamente ai dubbi del
commissario europeo ai Trasporti, Jacques Barrot. «Attenzione, se stanno a
frignare potremmo prendere una decisione per cui Alitalia potrebbe essere
acquistata dallo Stato, dalle Ferrovie dello Stato. È una minaccia, non una
decisione» sono state le parole riprese da quasi tutte le agenzie di stampa, da
Ansa a Reuters. Subito l’Ue, tramite il commissario alla Concorrenza Neelie
Kroes, si è dichiarata neutrale nei confronti di ipotesi di nazionalizzazione
nell’Eurozona, limitandosi ad aggiungere che non vengono posti veti sulle
operazioni, ma sulle modalità di svolgimento delle stesse. Come dire, non ci
interessa Alitalia viene acquistata da un privato o dallo Stato, ma non ci
devono essere aiuti di parte.
Ma a proposito delle
dichiarazioni di Berlusconi ci sono alcune obiezioni che è necessario porre. FS
ha registrato, per il bilancio 2007, un risultato netto negativo per circa 409
milioni di euro, in netta ripresa rispetto all’anno precedente, in cui le
perdite erano pari ad oltre 1700 milioni. Domanda banale, ma legittima: come si
pensa che FS possa acquisire Alitalia (e tutti i suoi debiti) con un bilancio,
seppur in netta ripresa, ma pur sempre in negativo? La conseguenza sarebbe il
fagocitamento da parte dello Stato Italiano di tutte le perdite generate da
Alitalia ed il mantenimento dello status quo, di tutte le posizioni e gli
interessi particolari che hanno prodotto solo una pessima gestione industriale
negli ultimi 15 anni. Per il cittadino non sarebbe molto differente da ora dato
che tanto i soldi pubblici vengono ugualmente erogati nelle casse del nostro
vettore aereo. L’ipotesi di FS, sulla carta, non sembra essere quella più
idonea, se proprio nazionalizzare si vuole. E qui entra in gioco la seconda
obiezione da porre.
Nazionalizzare nel 2008 sta
diventando di moda. Dopo i crolli dovuti alla crisi dei mutui subprime abbiamo
visto banche commerciali e d’investimento essere prese per la collottola e
portate in salvo dagli Stati, più o meno implicitamente. Northern Rock e Bear
Stearns sono due nomi che abbiamo imparato a conoscere, ma sono solo i più
celebri. Nell’euforia di portare la mano (visibilissima) dello Stato dove
fallisce il mercato, non ci si rende conto di quanto sia obsoleto parlare di
nazionalizzazioni ai nostri giorni. Portare Alitalia ad essere di proprietà
dello Stato significa perdere la battaglia dell’innovazione competitiva e della
libera concorrenza. Ne perderà la produttività personale, la qualità media, il
costo per il consumatore, oltre che tutti i cittadini italiani. Rendere “di
stato” un’impresa significa inevitabilmente che si possa creare un mercato
libero in quel determinato settore economico. Le asimmetrie fra una società
nazionalizzata ed una privata sono qualcosa di difficilmente sormontabile,
tutto a discapito del costo finale per il cittadino. Il mercato ha già
dimostrato che, nel settore dell’aviazione civile, il servizio pubblico è reso
ancora migliore dalle imprese private. Le condizioni di diritto per
statalizzare Alitalia quindi vengono meno. Senza contare che sarebbe applicata la
stessa contrattualistica lavorativa di tutte le altre imprese pubbliche ovvero
bandi, concorsi, assunzioni a tempo indeterminato che uccidono il merito e
l’efficienza. Non si contribuirebbe al riassestamento di Alitalia, ma al suo
Requiem e, con esso, gravi perdite per l’economia italiana. Ma soprattutto,
sarebbe una sconfitta morale per tutti coloro che credono nel mercato e che
ancora portano avanti il vessillo del Liberalismo in Italia. Ironico che sia
stato proprio il Cav. a proporre questa operazione. La speranza è che possa
restare solo uno sfogo fine a se stesso, la paura è che possa diventare una
strada da percorrere.
Il risanamento di Alitalia passa
attraverso lo smantellamento delle inefficienze e degli sprechi prodotti dalle
baronie che imperversano da decenni negli uffici della Magliana, non attraverso
misure che puzzano di vecchio come le nazionalizzazioni.