Non bere. Quei no che servono a crescere i giovani e anche gli adulti

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Non bere. Quei no che servono a crescere i giovani e anche gli adulti

05 Agosto 2009

L’ordinanza anti-alcol ha scatenato molti commenti. Bisognava essere contenti che finalmente qualcuno raccogliesse la sfida educativa ed invece molti, ignari, ma soprattutto non interessati ai ragazzi, hanno alzato bandiere che sventolano, purtroppo, solo ideologie stantie.

Si portano esempi banali. Siamo tutti d’accordo che il proibizionismo può scatenare le trasgressioni, soprattutto negli adolescenti; oppure, come aggiungono altri, si sa che la prevenzione è fondamentale e se non viene applicata nella famiglia, nella scuola, nei media, non può funzionare con i ragazzi. Detto ciò, l’ emergenza alcol, poiché di emergenza si tratta, deve essere assolutamente presa in carica dagli adulti. Siamo arrivati alle bevute esagerate che iniziano già da undici o dodici anni e non come banalmente si è commentato perché bere piace, ma perché il bere è divenuto tra i giovani una moda, e se non bevi sei fuori. Da tutto, dal gruppo, dai ritrovi, dai giochi, da tutti quei codici di cui vivono i ragazzi a quell’età, e da cui sono fuori gli adulti.

E’ inutile spiegare, minacciare. A dodici anni sei ancora per metà nell’infanzia, con un pensiero magico che ti fa vedere le cose in modo diverso. Se il gruppo ha decretato che bisogna sballare per essere un figo, lo si fa senza neanche pensare un attimo al contrario. Non c’è possibilità, nella maturità dei dodici o undici anni, di poter capire i danni di alcuni comportamenti a rischio, e tantomeno c’è la possibilità di differenziarsi. A quella età inizia proprio il contrario, l’impossibilità a sentirsi diversi.

Essere tutti uguali placa l’angoscia del crescere e dell’abbandonare l’ amata infanzia, dove si era protetti, al sicuro, piacevolmente diversi, e non bisognava dimostrare nulla a nessuno. Questa età preadolescenziale è l’inizio dell’individuazione, l’inizio della complessità di trovare se stesso, di conoscersi. Spesso ci si riconosce nell’altro che ci fa da specchio, ma soprattutto nell’uguaglianza e nell’appartenenza al gruppo ci si percepisce realmente. Questo vale ancor più se si ha avuto poco, sia affettivamente, che culturalmente.

Quindi ben venga qualcuno a sollevare questi preadolescenti dalla difficoltà a dover dire un no che non sanno e non possono dire. Devono essere i grandi a prendere la responsabilità di dire no, sollevando e liberando i ragazzi da decisioni che non sanno prendere. Non si ha in quell’età la forza per opporsi al gruppo. Saranno i grandi, famiglia e istituzioni a proteggerli, con le leggi che dicono no all’alcol ai minorenni. Trovo irresponsabile e banale dire che tutti abbiamo bevuto da ragazzi. Si avevano genitori diversi, più forti, più intransigenti. Era realmente un atto trasgressivo, per alcuni; ed inoltre non c è da farsene un vanto. Nei giovani di oggi non c’è ricerca di trasgressione, sono ripiegati su loro stessi e spesso la bevuta è solo dimostrare a se stessi di esistere.

I genitori sono molto simili ai figli, impauriti, fragili e compagni di bevute, oltre che spesso anche fruitori di droghe. Sarebbe auspicabile che tutti gli adulti facessero un atto di umiltà, accettando una legge che aiuta i ragazzi, ma anche i genitori. Contestualizzare questo fenomeno senza fare paragoni impossibili con il passato sarebbe molto saggio. Sarebbe inoltre utile iniziare una vera prevenzione sin dalle scuole, elementari e medie. Prevenzione che non può essere affidata agli insegnanti, poiché non ne hanno la competenza, e sono già chiamati a svolgere un compito non semplice.