Occidente, marxismo e islamismo: i miti di Breivik che non esistono più
30 Luglio 2011
Più penso al massacro di Oslo, più rimango stupito di quanto tutto ciò sia arcaico. Il killer si immagina come il nobile difensore di un mondo occidentale da tempo scomparso, un mondo esistito fino alla Prima guerra mondiale. E’ quel tipo di fascista che crede nel mito di un’Età dell’oro da restaurare, e si vede come parte di quella elite prescelta dalla storia per difendere il mitico Occidente.
Si immagina come un guerriero che combatte contro due mortali nemici, il “marxismo” e “l’Islam”. Non doveva scomodarsi. Entrambi sono morti da tempo.
Il primo è scomparso con la guerra fredda e la caduta dell’impero sovietico. D’accordo, c’è ancora qualche marxista in giro, e persino qualche comunista, ma non c’è più un movimento di massa mondiale che sfida l’Occidente in nome di un materialismo dialettico. I suoi guerrieri attuali sono gli intellettuali, non i lavoratori, e si travestono spesso da liberal o da moderati piuttosto che apparire apertamente come rivoluzionari di sinistra. Fanno così perché nessuno compra più la rivoluzione marxista –come potrebbe spiegarvi Van Jones.
Il secondo mortale nemico, l’Islam, è stato moribondo per secoli. Praticamente tutti i paesi che si definiscono “islamici” sono stati prossimi al fallimento dove la gente patisce la fame, dove le industrie accusano anni di ritardo rispetto a quelle occidentali, e dove la gente di maggior talento nutre l’ambizione, spesso il desiderio disperato, di vivere e lavorare in un paese infedele. D’accordo, il mondo è pieno di mortali jihadisti, ma sebbene lavorino duro per ucciderci (spesso saltando in aria loro per primi, o appiccando il fuoco alla loro biancheria), dove riescono veramente efficaci è nel massacrare gli altri musulmani. Persino al di fuori del “mondo musulmano” –come lo definì il presidente Obama nello sfortunato discorso del Cairo, nel 2009– lo jihad duro e puro, la folla che reclama un nuovo califfato vive in miseria, rinchiusa nei ghetti e nutrita a forza di una rigida “sharia”.
I demoni che lo possiedono non hanno spinto Anders Breivik ad attaccare i musulmani, anche se ce n’è qualcuno tra le sue vittime. I suoi bersagli erano la sua stessa gente, quelli che chiamava “traditori” per aver voltato le spalle al mitico Occidente e volgersi alle altrettante mitiche forze dell’Islam e del marxismo. Che quadro bizzarro: una battaglia mortale in nome di tre forze ormai defunte.
Questa mitologia arcaica non è appannaggio del solo Breivik. I marxisti e gli integralisti islamici la fanno propria con uguale ardore. I marxisti abbracciano il mito della guerra di classe in un Occidente che non è più capitalista e dove non c’è più una classe lavoratrice. Gli jihadisti abbracciano la causa della guerra santa (non è stato per caso, potrebbero dire i marxisti, che tanti jihadisti si siano affannati, sulle prime, a rivendicare l’eccidio) contro un mondo occidentale definito “cristiano” e “islamofobico”. Anche quest’idea si rifà a un passato da lungo tempo morto e sepolto, soprattutto in Europa. Il vecchio mondo è laico e di sicuro, almeno nella sua classe dirigente, più antisemita e anticristiano di quanto sia antimusulmano. Basta guardare, per esempio, ai disgustosi distinguo fatti dall’ambasciatore norvegese in Israele DOPO il massacro, nei quali esprime maggiore “comprensione” per gli omicidi di ebrei commessi dai palestinesi, rispetto all’uccisione di norvegesi da parte di un loro connazionale.
E’ del tutto comprensibile, dunque, che alcuni abbiano spiegato il massacro norvegese con altri miti, cominciando dalla favola secondo cui Breivik è la punta di un iceberg di cui fanno parte non solo spostati pervasi dalla brama di uccidere, ma anche scrittori e politici. Costoro dipingono una congiura architettata da un altro fantasmagorico fenomeno di massa, una vasta cospirazione di cui farebbero parte innumerevoli seguaci, alcuni in incognito, altri manifesti. Un tale movimento non esiste. D’accordo, ci sono dei pazzi che si credono combattenti nella grande battaglia del Giorno del Giudizio (su tali credenze, e sui loro malefici effetti nel corso dei secoli, esiste un accurato lavoro di Richard Lande, “Heaven on Earth”). Però dubito che ce ne siano abbastanza da alimentare qualcosa di più vasto che una manciata di Templari, figuriamoci un movimento politico di massa.
Stiamo attraversando un momento rivoluzionario che investe il mondo intero. Il mondo che conoscevamo e in cui credevamo è finito, e non sappiamo dove stiamo andando. Nessuna meraviglia che il caos sconvolga le usuali convinzioni, e la mitologia prenda il posto del senso comune.
© Faster, Please!
Traduzione di Enrico De Simone