Opinioni, la neo egemonia culturale della destra a rischio macedonia

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Opinioni, la neo egemonia culturale della destra a rischio macedonia

Opinioni, la neo egemonia culturale della destra a rischio macedonia

26 Maggio 2023

Uno spettro si aggira per l’Italia: il tentativo della cultura e della politica di destra di mutare narrazione, senso comune, scala di valori per contrastare e soppiantare il cosiddetto mainstream della sinistra.

Tutta una serie di dichiarazioni di ministri e esponenti di primo piano dell’asse di destra-destra della coalizione di governo (“Costituzione bella, ma ha anche 70 anni”, “italianità”, “etnia italica”, “famiglia tradizionale”, per ricordarne solo alcune) e tentativi più seri di convention svolte prima e dopo il voto per porre le premesse per creare un “immaginario di destra”, rappresentano i segnali evidenti di affermare un neo-egemonismo di destra, non è del tutto inedito poiché, storicamente, non sono mancati i tentativi di lettura da destra del pensiero di Gramsci.

Esiste un reale egemonismo culturale della sinistra? Forse nelle università, nelle case editrici, nelle redazioni. Ma affermare che sia senso comune la Weltanschauung della sinistra (quale poi? Una nessuna e centomila) appare una petizione di principio non acclarata dagli umori “liquidi” dell’opinione pubblica che, come sostiene il sociologo Ralf Dahrendorf, usa il voto con la logica “usa e getta”.

Il tentativo egemonico della destra-destra sembra emergere più dai fatti concreti che dai voli pindarici sui temi identitari che appaiono più indirizzati a una parte dell’elettorato che cerca una sorta di rivincita storica, che alla “rozza materia della quotidianità”, per citare Norberto Bobbio.

Eppure, il tentativo in atto ha raggiunto il suo scopo: la premier si pone l’obiettivo di dare una casa ai conservatori italiani e il tema, dal punto di vista culturale, è esploso sui grandi quotidiani con grandi firme degli opposti schieramenti che si cimentano su una tematica che era inabissata dal Dopoguerra in poi persino nei cenacoli culturali della destra.

E’ opportuno che da destra si torni a porre la “questione culturale” come fondamento della propria piattaforma politica. Ma evitando lo scenario della “notte in cui tutte le vacche sembrano nere”, per citare Hegel. Così si parla indistintamente di conservatorismo, liberalismo, liberismo, nazionalismi, sovranisti. Che possono avere tratti in comune, ma che non vanno assimilati in un unico melting pot. Perché, così, ne viene fuori una macedonia mal riuscita nel tentativo di mettere insieme Benedetto Croce, Gentile, Prezzolini, Marinetti, fino ad Edmund Burke. Per non parlare della convention di primavera nel cui pantheon campeggiavano Giovanni Paolo II, Pasolini, Dostoevskij, Flaiano, il filosofo tedesco Ernst Junger, Hannah Arendt, Augusto del Noce, Tolkien, Scruton, per citarne solo alcuni. Una “famiglia” un po’ troppo allargata.

Prezzolini, nel suo “Manifesto dei Conservatori”, scriveva che “prima di tutto il vero conservatore si guarderà bene dal confondersi con i reazionari, i retrogradi e i tradizionalisti, i nostalgici”; il filosofo liberale John Stuart Mill definiva i conservatori The stupid party; e Von Hayek, premio Nobel per l’economia, scriveva, in un testo dal titolo emblematico “Perché non sono conservatore”, che “il punto principale del liberalismo è che vuole andare altrove, non stare fermo (..) il liberalismo non è contrario all’evoluzione, al cambiamento (..) l’ammirazione dei conservatori per la crescita libera si applica generalmente solo al passato”.

I conservatori guardano indietro, i liberali al futuro? Quali sono le differenze? Secondo Hayek, “la paura del cambiamento, una timida sfiducia nei confronti del nuovo in quanto tale, mentre la posizione dei liberali si basa sul coraggio e sulla fiducia, a lasciare che il cambiare faccia il suo corso anche se non possiamo prevedere dove porterà”.

Dai primi mesi di governo della destra-destra emerge, almeno finora, un percorso a zig-zag in cui si mischiano i tentativi di proporre una contro rivoluzione culturale, nella migliore delle ipotesi contro la filosofia della storia e l’iper-progressismo della sinistra, tematica su cui si impegna Marcello Veneziani, e quello di dare dignità filosofica al conservatorismo italiano da parte dell’ex presidente del Senato, Marcello Pera, l’atlantismo e l’europeismo della premier – che punta a divenire un alfiere del canone occidentale nell’epoca della guerra nel cuore dell’Europa – e poi, le questioni quotidiane, in cui si mischiano il decreto anti-rave, la gestione pericolosamente ondeggiante dell’emigrazione, il baratto con la Lega, tra riforma istituzionale e autonomia differenziata, provvedimenti economici, il riferimento, non casuale, ai “patrioti” e non al citoyen, al cittadino, figlio della rivoluzione francese.

Non a caso nei discorsi dei moderni conservatori il riferimento continuo è al popolo, come entità etnica e etica, e non all’individuo, come soggetto autonomo, figlio della concezione liberale della persona, ed emerge una visione organicista, comunitarista della società in cui l’individuo “tace”.

Forse è tempo che il Paese scopra i valori del liberalismo inclusivo (Salvati e Dilmore) e del riformismo, superando lo strabismo di coloro che guardano al passato.