Opinioni, la nuova destra e i conti con la cultura liberale

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Opinioni, la nuova destra e i conti con la cultura liberale

Opinioni, la nuova destra e i conti con la cultura liberale

14 Gennaio 2024

Gramsci come un nuovo maitre a penser della destra italiana? L’idea del ministro Sangiuliano di ricordare uno dei fondatori del Partito comunista con una targa ha suscitato sorprese e perplessità. Ma il primo a stemperare il dibattito è Beppe Vacca, storico politologo della tradizione comunista, già presidente per decenni dell’Istituto Gramsci che, in una intervista al Corriere del Mezzogiorno, non si è detto sorpreso, poiché Gramsci è un classico del pensiero della concezione della modernità del Novecento, e – come dice il ministro – “un grande italiano, perseguitato ingiustamente”.

Nella vulgata ideologica della nuova destra, non mancano i riferimenti continui a concetti come “immaginario culturale”, lotta per l’egemonia, valorizzazione di una nuova classe di intellettuali per occupare le casematte del potere, riconducibili all’elaborazione gramsciana. Un uso solo strumentale oppure la necessità di chiedere soccorso ad un apparato concettuale estraneo ed esterno per sopperire a proprie carenze? Gramsci “assolutizzato” a grande interprete della modernità del Novecento, e quindi strumento d’analisi buono per la sinistra e per la destra, verrebbe ridotto nella veste di analista della fisiologia del potere, in un sociologo della modernità. Ma non meriterebbe una tale relativizzazione, depotenziando il valore politico della sua filosofia.

Già in passato, prima la nouvelle droite francese di Alain De Benoist e poi con le tesi di Fiuggi a metà degli Anni Novanta, la destra culturalmente più avveduta aveva tentato di “intercettare” il pensiero gramsciano, nel tentativo di ricostruire una sorta di “ideologia italiana” novecentesca che andrebbe da Gentile a Gramsci, scavalcando totalmente Croce e il filone liberale. E questa è la vera questione che il dibattito in atto tende a nascondere nei ripostigli della storia: l’incapacità della nuova destra di fare veramente i conti con la cultura liberale. Non è che manchino intellettuali d’area che si rifanno ai classici del liberalismo e della scuola austriaca, ma sono costretti a vivere in conciliabili segreti, a dialogare tra adepti.

Quindi: è più agevole recuperare frammenti del pensiero gramsciano che fare i conti con Croce, Popper, von Mises, Hayek. I quali avevano ben chiara la distinzione tra liberalismo e conservatorismo. Che possono andare “a braccetto” per un accidente della storia, ma non sono sinonimi. L’ impianto teorico “totalitario” gramsciano (ruolo primario dello Stato versus cittadini, egemonia dal basso invece che dittatura proletaria di stampo leninista, il partito come intellettuale collettivo che domina e guida la società, ruolo pedagogico degli intellettuali “strumento” di potere) suscita a destra una fascinazione tutt’altro che sorprendente.

Le affinità tra totalitarismi di destra e di sinistra sono al centro della riflessione di von Hayek, uno dei più grandi pensatori liberali della seconda metà del Novecento che, nel saggio La via della schiavitù analizza “la crescente somiglianza tra le idee economiche della destra e della sinistra e la loro comune opposizione al liberalismo”. E ancora: “Il conservatorismo, pur rappresentando un elemento necessario in qualsiasi società stabile, non è un programma sociale; nelle sue tendenze paternalistiche e nazionalistiche e nella sua adorazione per il potere si avvicina più al socialismo che al vero liberalismo”.

Ruolo soverchiante dello stato nell’economia e nella società, sottomissione dell’individuo rispetto al presunto ruolo salvifico della comunità, avversione alle logiche del mercato: è sufficiente guardarsi attorno per rintracciare i segni di un passato comune che non passa. E di un “album di famiglia” piuttosto allargato.