Ora spetta al padre decidere la sorte di Eluana. E se fosse giusto così?

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Ora spetta al padre decidere la sorte di Eluana. E se fosse giusto così?

Eluana può morire. In definitiva è questo il senso della decisione resa dalla sezione civile della Corte d’Appello di Milano ed è sempre questa la frase ad effetto rilanciata dai quotidiani in prima pagina, accanto alla bella foto di sedici anni fa di una ragazza appena ventenne, che di li in poi, a causa di un incidente stradale, avrebbe trascorso i suoi giorni in stato di coma irreversibile. 

Al termine di un processo lunghissimo, è stata dunque accolta la richiesta del padre di Eluana, un uomo che tutto il Paese ha imparato a conoscere e a rispettare per la sua determinazione e soprattutto per il suo dolore, che davanti alle telecamere, come nelle aule dei palazzi di giustizia, chiedeva, che sua figlia fosse liberata. 

Era già successo con tanti altri individui, spesso meno noti, cui era toccato il destino angoscioso di perdere, insieme alla speranza di recuperare le funzioni vitali, anche la capacità di interagire col mondo esterno e, anche questa volta, la vicenda ha sollevato un coro di giudizi di politici, sociologi, uomini di chiesa, chiamati ad esprimere la loro opinione e spesso incapaci di resistere alla tentazione di invadere l’intimità del dolore personale di un padre che perde una figlia. 

Sul piano etico è difficile immaginare che sia possibile ricondurre ad unità la moltitudine di pensieri e di opinioni che suscitano temi difficili e delicati come quello del Testamento Biologico e della stessa Eutanasia, che pure è stata evocata solo con estremo pudore ed in rare occasioni all’indomani della sentenza. 

Della confusione in cui il nostro Paese versa quando c’è da affrontare questioni del genere rende la più impietosa testimonianza la trasversalità delle reazioni politiche alla decisione della Corte Milanese. Eppure la vicenda degli Englaro si connota per una particolarità rispetto a quelle simili del passato, perché è la prima che trova una soluzione definitiva per via giurisprudenziale. L’immaginario collettivo resterà colpito dalla decisione della Sezione Civile della Corte d’Appello, specie se, come sembra, troverà rapida e definitiva esecuzione proprio per mano del padre della ragazza. 

Tuttavia il capitolo processuale più importante era stato scritto già ad ottobre dalla Corte di Cassazione, che aveva dettato i principi cui ispirare la decisione di questo caso, ma anche di tutti gli altri che presentino le stesse caratteristiche. Il Giudice di Legittimità aveva anzitutto stabilito che l’alimentazione e l’idratazione indotte attraverso il sondino gastrico costituiscono di certo una terapia, ma, da sole, non sono classificabili come accanimento terapeutico. La Corte aveva, pertanto, concluso che, per porre fine a questo tipo di terapia, ed indurre dunque la morte del paziente, dovessero sussistere due condizioni: in primo luogo la certezza della irreversibilità della situazione clinica e poi, la dimostrazione processuale di una volontà del paziente assolutamente incompatibile con il persistere dello stato di coma vegetativo.

E’ proprio quest’ultimo il passaggio più significativo della pronuncia. In sostanza il rifiuto di una terapia, che un qualsiasi soggetto può imporre al medico, anche a rischio di lasciarsi morire, nel caso del paziente non in grado di esprimerlo, può essere surrogato da una ricostruzione a posteriori della sua presumibile volontà di non trascorrere il resto della propria vita alla stregua di un vegetale.

Innanzi ad un principio del genere, che ha ricevuto scontatala applicazione nella sentenza della Corte d’Appello di Milano, che ha riconosciuto il diritto di morire di Eluana, viene tuttavia da chiedersi quando sarà possibile per il Giudice chiamato a decidere su un caso simile, negare la volontà di un paziente di non versare in stato di coma irreversibile. E’ immaginabile che vi sia un individuo che, in vita, riesca ad esprimere una personalità tale da far ritenere, a posteriori, che si accontenterebbe di versare, magari per lustri, in questa condizione disumana, prima di spegnersi definitivamente?

In questa domanda priva di risposta si può individuare tutta la debolezza della pronuncia della Cassazione. Una debolezza giuridica, dovuta al fatto che le argomentazioni da cui la decisione scaturisce, non trovano effettivo fondamento in nessuna norma positiva. Il peso di una decisione del genere sarebbe, di certo, dovuto di cadere sulle spalle del Legislatore, che tuttavia non è mai riuscito ad affrontare questi temi in chiave tecnico-giuridica e si è sempre perso in elucubrazioni etiche, che hanno posto un freno alle varie proposte di legge che si sono succedute nel tempo. 

ìNon c’è stata, dunque, una vera e propria invasione di campo da parte della magistratura proprio perché, nel vuoto normativo lasciato colpevolmente dal Parlamento, i Giudici dovevano pur prendere una decisione. Tuttavia, senza leggi a supportarla, la sentenza che è venuta fuori è estremamente discutibile. In forza di una decisione incerta, ed in nome del principio dell’immediata esecutività delle pronunce civili, Eluana potrebbe morire in pendenza dei termini di impugnazione del provvedimento. In attesa cioè di una nuova decisione giurisprudenziale, che, visti i presupposti, potrebbe stravolgere quella precedente.

E’ un paradosso doloroso, che tuttavia produce un risultato per molti versi umano. A fronte di un Parlamento inerte e di una giurisprudenza oscillante, la decisione definitiva resta nelle mani del padre della ragazza, che dopo averla accudita amorevolmente negli ultimi sedici anni, sarà in sostanza chiamato ad interpretarne la volontà. Che sia questa la strada più giusta da seguire anche per via legislativa?