Perché la Russia di Putin rischia di finire come l’Unione Sovietica
30 Maggio 2009
Qualche tempo fa un amico mi chiedeva spiegazione di un mistero per lui inspiegabile. Si chiedeva come mai la Russia, con le gigantesche risorse naturali che possiede (petrolio, gas, minerali), non fosse uno stato decisamente ricco. Capiva che decenni di economia comunista avessero prostrato il paese, ma, vedendo come, in base alle statistiche, un polacco, un ceco, uno sloveno, stessero meglio di un russo, nonostante i loro paesi non possedessero quasi nessuna risorsa, non riusciva a darsi una spiegazione sensata. In effetti, per le risorse che possiede, e con una popolazione di soli 140 milioni di abitanti (in costante diminuzione), la Russia è potenzialmente uno degli stati più ricchi del mondo.
Per quali ragioni, allora, la Russia resta un paese dove il cittadino qualunque ha un tenore di vita che perfino nell’est europeo considerano basso? Riassumendo al massimo, le ragioni fondamentali sono tre.
La prima, la più facile da spiegare, è la vocazione russa ad essere una grande potenza globale, pur non possedendone i mezzi. Se il PIL (prodotto interno lordo) nominale russo, espresso in dollari USA, era inferiore nel 2008 perfino a quello italiano, ma le spese “imperiali” sono di fatto superiori a quelle di colossi come il Giappone, il peso tremendo che ciò ha sul paese diventa evidente. Viene in mente la famosa frase del ministro degli Esteri sovietico che, nel 1989, implorava un drastico taglio alle spese militari, in quanto, secondo lui, se le spese per le forze armate avessero mantenuto lo stesso livello, in poco tempo l’esercito non avrebbe più avuto uno stato da difendere. Ciononostante, la Russia di oggi sembra proseguire lungo la stessa strada, quella del fallimento.
La seconda ragione sta nel fatto che la Russia possiede un’economia assolutamente inefficiente e non competitiva a livello internazionale. Le esportazioni sono, nella stragrande maggioranza, rappresentate da materie prime, petrolio, gas, minerali, legname… quello che resta è soprattutto costituito da prodotti dell’industria militare. Quest’ultima è tra l’altro sempre più in difficoltà in quanto obsoleta in confronto a quella occidentale. Le vendite di armamenti erano, fino a poco tempo fa, indirizzate per i tre quarti a grandi potenze emergenti come Cina e India. Ora in questi mercati si perdono molti colpi, tanto che nel 2008 i maggiori acquirenti sono risultati Venezuela e Algeria. Il Venezuela ha ricevuto un grosso prestito dalla Russia, vincolato all’acquisto di materiale militare, e l’Algeria si è vista cancellare interamente il suo debito statale verso Mosca in cambio di commesse militari di pari importo. Insomma crollano gli acquisti “spontanei” e lo stato si organizza per stimolarne altri e fare sopravvivere l’industria del settore difesa.
Almeno il settore “petrolio e gas”, che fa stare in piedi il paese, va bene? Nemmeno per sogno. Sotto Putin si è avuta una parziale statalizzazione dell’economia, asserendo che determinati settori, in quanto “strategici”, una presenza maggioritaria dello stato fosse auspicabile. Il settore energetico è stato il più toccato e i risultati si stanno vedendo ora. Con una gestione disastrosa, fatta di sprechi, mangerie e nepotismi, si è compiuto il miracolo di portare a un forte rallentamento della crescita produttiva e ora addirittura a un calo di produzione di petrolio e gas, pur in presenza di grandi riserve da sfruttare.
E il resto delle industrie russe? Roba da piangere. Il settore manifatturiero è mantenuto artificialmente in vita, grazie a forti barriere doganali e impedimenti burocratici vari, ed è massicciamente aiutato dai sussidi statali, basti pensare, ad esempio, alle tariffe ridicole per le forniture energetiche, date a prezzi che noi definiremmo “politici”.
L’industria russa si rivolge quindi quasi solo al mercato interno, non essendo in grado, per qualità dei prodotti e scarsa competitività dei prezzi, di inondare i mercati esteri, come fanno invece cinesi, indiani e anche gli altri paesi dell’est europeo. In presenza di tutte queste barriere come fanno gli occidentali a vendere ancora in Russia? E’ molto semplice: esportano verso Mosca i prodotti che i russi non sanno fare o che hanno una qualità di livello alto. Le industrie russe, infatti, nonostante barriere doganali e aiuti di stato, sono riuscite a eliminare soltanto le importazioni di fascia bassa, il livello tecnologico non permette altro!
Il terzo e ultimo motivo dell’arretratezza russa è il più sorprendente. Siamo abituati a considerare l’immensità del territorio russo come la sua grande fortuna e ricchezza. Tanto territorio significa tante risorse da spartire tra poche persone e in teoria sarebbe così. Il guaio è che, per la mentalità russa, un territorio non è veramente posseduto se non è popolato. Gli zar svuotarono le casse statali per unificare il paese dal Baltico al Pacifico, creando forti, villaggi e cittadine di provincia e spendendo somme colossali per infrastrutture come la ferrovia transiberiana. Gli effetti disastrosi si videro poi con le catastrofiche guerre col Giappone (1905) e con gli imperi centrali (1914-1917) e che portarono dritti al crollo dell’impero dei Romanov.
L’Unione Sovietica fece ancora peggio, creando addirittura metropoli dove esistevano villaggi e sonnacchiose cittadine. Il tutto accompagnato da massicci trasferimenti di popolazione in zone climaticamente infami e dalla costruzione di grandi industrie che mai persona sana di mente avrebbe portato in quei luoghi. Insomma un po’ come se gli americani avessero portato 10 milioni di persone ad abitare in Alaska, creando città e industrie e continuando a finanziarle all’infinito per tenerle artificialmente in piedi… un suicidio economico.
Ci sono oggi parecchi milioni di russi che abitano in zone dove, in virtù della logica, non dovrebbe viverci nessuno o quasi. Per tenere popolate la Siberia e l’estremo oriente russo, lo stato si dissangua letteralmente e anzi cerca disperatamente di frenare l’esodo naturale della popolazione aiutando in ogni modo le attività economiche locali che, senza abbondanti aiuti statali, sarebbero altrimenti già morte e sepolte. C’è chi si è preso la briga di calcolare il peso di questa follia economico-demografica e ne ha dedotto che, in assenza di correttivi, in caso di stasi prolungata delle entrate di petrolio e gas, il sostegno dato all’80% del territorio russo per permetterne la stabilità di popolamento, ucciderà il paese.
Per questo non capisco quanti, in questi ultimi anni, ci hanno parlato di grande rinascita della Russia, senza rendersi conto che era l’inarrestabile crescita dei prezzi delle materie prime a spingere in alto la ricchezza del paese. Ora il giocattolo si è rotto e, come diceva il titolo di un vecchio film, “sotto il vestito niente.