
Perché servono limiti alla custodia cautelare

04 Giugno 2025
di Ilaria Rizzo
Nel XXI Rapporto di Antigone (“Senza respiro”) sulle condizioni di detenzione presentato lo scorso 29 maggio a Roma, un dato su tutti impone una riflessione sistemica: al 31 dicembre 2024, il 26,5% della popolazione carceraria italiana era in attesa di giudizio. In cifre assolute, si tratta di circa 16.500 persone private della libertà nonostante non siano state ancora condannate in via definitiva. Una condizione che collide con il principio costituzionale della presunzione d’innocenza sancito dall’art. 27 della Carta Costituzionale, ma che continua a trovare legittimazione nel ricorso ordinario, e non residuale, alla custodia cautelare in carcere.
Secondo il Rapporto, la custodia cautelare rappresenta oggi la misura più applicata tra quelle previste dal codice di procedura penale, utilizzata nel 28,9% dei casi. Una percentuale che sembra eccessiva, soprattutto alla luce del fatto che nel 12% dei procedimenti in cui è stata disposta la misura la vicenda giudiziaria si è conclusa senza alcuna condanna. Una quota non irrilevante di carcerazioni che, di fatto, si rivelano infondate.
Particolarmente colpita risulta la componente straniera della popolazione detenuta. Le persone non italiane, spesso prive di una rete familiare stabile o di una residenza formale, risultano più frequentemente soggette alla misura detentiva anche in fase cautelare. Questo squilibrio pone questioni rilevanti in termini di uguaglianza davanti alla legge e rafforza il rischio di discriminazioni indirette, che la giurisprudenza europea invita da tempo a prevenire.
I dati Eurostat aggiornati al primo trimestre del 2025 mostrano come l’Italia presenti un’incidenza di detenuti in custodia cautelare sensibilmente più alta rispetto alla media dell’Unione Europea. Secondo il Council of Europe Annual Penal Statistics – SPACE I , la media UE si attesta intorno al 20% sul totale della popolazione detenuta. In paesi come la Germania, la custodia cautelare interessa circa il 15% dei detenuti; in Francia il dato è leggermente superiore (intorno al 22%), mentre in Spagna si aggira sul 18%.
L’Italia si colloca dunque ben al di sopra di questi valori, in compagnia di Stati che condividono situazioni di affollamento carcerario e debolezza delle misure alternative. Inoltre, l’Italia è uno dei pochi paesi in cui le carcerazioni preventive non sono subordinate sistematicamente a un monitoraggio automatico periodico. In paesi come i Paesi Bassi o la Norvegia – spesso presa a modello – le misure cautelari carcerarie sono soggette a una revisione giudiziaria sistematica ogni due settimane o un mese.
L’utilizzo estensivo della custodia cautelare rischia di compromettere non solo i diritti individuali, ma anche l’efficienza e l’equità dell’intero sistema giudiziario. Anche fuori dal perimetro penitenziario, la misura cautelare applicata con eccessiva facilità può tradire lo spirito garantista del codice, generando un pregiudizio sistemico verso l’imputato e alterando l’equilibrio del processo. Dal punto di vista penale, l’abuso della misura può trasformarsi in una forma di pena anticipata. Se la custodia cautelare deve servire a impedire la fuga, l’inquinamento delle prove o la reiterazione del reato, essa non può diventare uno strumento punitivo in attesa di giudizio.
L’allarme lanciato da Antigone è tanto più rilevante in un contesto dove quasi il 30% dei detenuti non ha ancora subito una condanna definitiva, e dove le alternative al carcere — come gli arresti domiciliari o l’obbligo di dimora — risultano applicate con minore frequenza. Antigone propone tre misure concrete e immediatamente attuabili per affrontare la crisi del sistema penitenziario italiano, che includono anche un’indiretta riduzione del ricorso alla custodia cautelare: un atto di clemenza per chi ha un residuo pena inferiore ai due anni, provvedimenti straordinari di concessione di misure alternative, e il divieto di nuove carcerazioni in assenza di posti regolamentari.
Ma il nodo rimane a monte: è necessaria una riforma strutturale delle norme che disciplinano le misure cautelari, affinché la custodia in carcere torni ad essere davvero l’extrema ratio prevista dalla legge.