Più coraggio sul taglio del cuneo fiscale, lo dice anche l’Ocse
25 Maggio 2022
di Tiziano Rugi
L’Italia a piccoli passi migliora, ma il peso del fisco sul lavoro resta uno dei più gravosi del mondo occidentale. Il cuneo fiscale in Italia, cioè la differenza tra il costo per i datore di lavoro e la retribuzione netta percepita dal dipendente nel 2021 è stato del 46,5%. Il calo di 0,4 punti rispetto al 2020 non fa certo sorridere, perché l’Italia è al quinto posto tra i 38 Paesi Ocse per livello di tassazione sui lavoratori. I dati sono contenuti nel rapporto “Taxing Wages” dell’Ocse.
Al 46,5% finale si arriva sommando l’incidenza dell’imposta sui redditi del 15,3%, il 7,2% di contributi a carico del lavoratore e il 24% dei contributi a carico del datore di lavoro. Per le famiglie monoreddito con figli il prelievo è inferiore ai lavoratori single e si attesta al 37,9%. Molto al di sopra, comunque, della media Ocse del 24,6%.
Il cuneo fiscale italiano e il confronto con l’estero
Peggio dell’Italia, ci sono il Belgio (cuneo al 52,6%), la Germania (48,1%), Austria (47,8%) e Francia (47%). Il problema, però, è che in Italia sono inferiori alla media Ocse anche gli assegni per i figli e gli sgravi, che di fatto riducono il peso del fisco sui lavoratori con figli. Un problema, visto che il salario lordo annuale italiano è di 52.324 dollari a parità di potere d’acquisto, in diciannovesima posizione su 38 Paesi Ocse. Ben davanti a Colombia e Turchia, ma non c’è certo da festeggiare.
Quello che emerge, inoltre, è come nel nostro Paese i contributi e tassazione sul reddito corrispondono all’84% del cuneo fiscale, a fronte del 77% della media Ocse. La tassazione eccessiva resta il grande ostacolo alla crescita del Paese: da un lato il cuneo fiscale scoraggia le assunzioni, dall’altro le tasse riducono la busta paga dei lavoratori e quindi i consumi. Ha ragione chi dice è la priorità intervenire qui.