Più servizi alle famiglie con il welfare aziendale, Jointly ci spiega perché

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Più servizi alle famiglie con il welfare aziendale, Jointly ci spiega perché

Più servizi alle famiglie con il welfare aziendale, Jointly ci spiega perché

29 Novembre 2023

C’è un fattore che oggi riveste una importanza cruciale per le lavoratrici e i lavoratori: il tempo. Quanto tempo avere a disposizione da dedicare alla famiglia, alla gestione dei figli, al raggiungimento dei propri obiettivi personali e di carriera. Quanto tempo per lavorare, quanto tempo per vivere e quale equilibrio si deve stabilire tra queste dimensioni. Il fattore tempo è fondamentale per un altro aspetto. Se il tempo manca, se chi lavora deve utilizzarlo per andare in cerca di servizi sociali che scarseggiano o non funzionano, difficile che si scelga di fare un figlio, probabile che la decisione di farne altri venga rimandata, quasi sicuro che le famiglie con i redditi più bassi e precari neppure si pongano la questione della genitorialità.

Il risultato dal punto di vista demografico è catastrofico. I dati sul crollo delle nascite sono lì a ricordarcelo nella gelida freddezza di un numero. Anche le tendenze che emergono dall’indagine demoscopica realizzata dalla Fondazione Magna Carta sulle motivazioni che spingono le coppie a non avere figli mostrano con chiarezza la preoccupazione diffusa tra gli Under 35 di non riuscire a garantire il giusto equilibrio tra vita professionale e vita privata. Una difficoltà acuita dalla percezione di non avere a disposizione servizi di prossimità che consentano una adeguata gestione e cura della prole. La ricerca Per una Primavera demografica è stata organizzata da Magna Carta con Jointly e altre grandi aziende Italiane, WellMAKERS by BNP-Paribas, Engineering, Prysmian. I risultati dei focus group tematici composti da giovani e professionisti, insieme alle griglie di autovalutazione compilate dalle aziende partner della ricerca, indicano che gli Under 35 sarebbero disposti ad affrontare la sfida della genitorialità se avessero un maggior numero di strumenti utili a conciliare gli obiettivi di carriera con la vita familiare.

«Negli ultimi tre anni si è assistito a una rapida impennata dell’attenzione sul tema della genitorialità all’interno delle aziende. Questo è avvenuto anche perché la questione demografica tocca da vicino le imprese», ha detto Francesca Rizzi, CEO & co-founder di Jointly, società leader nel settore del Corporate Wellbeing e People Caring, intervenendo agli Incontri A Cesare e a Dio organizzati dalla Fondazione Magna Carta a L’Aquila il 17 e 18 novembre [Ascolta l’intervento integrale di Francesca Rizzi su YouTube]. Se non si fanno figli, se non ci sono bambini, non ci saranno giovani per il mercato del lavoro. Allora come andranno avanti le aziende? Gli immigrati abbondano ma occupano spesso impieghi poco qualificati. Si parla moltissimo di robotica, intelligenza artificiale e di ‘fine del lavoro’; ma al momento bisogna ancora trovare competenze umane e pagare loro uno stipendio.

Così le aziende si riorganizzano. Cambia l’organizzazione aziendale, soprattutto dopo che il Covid ha modificato il nostro modo di lavorare. Gli investimenti nel welfare aziendale, che fino a dieci anni fa veniva considerato più che altro un’eredità olivettiana, aumentano. Il management sperimenta forme di welfare sussidiario, in certi casi sostitutivo di quello pubblico, per andare incontro alle esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori. Anche perché i giovani, quelli bravi, talentuosi, consapevoli della loro professionalità, quando cercano lavoro ormai ragionano diversamente dai loro padri. Pensano al reddito ma anche a trovare aziende dove sia tutelato il benessere fisico e psicologico delle persone.

«Oggi non sono più le imprese che scelgono i lavoratori ma i lavoratori che scelgono le imprese,» sottolinea Rizzi. Per i responsabili HR delle aziende è una sfida in più. Attrarre talenti vuol dire offrire più servizi, non solo un salario congruo. Il welfare aziendale, del resto, è un grande contenitore che comprende tanti aspetti della vita di un lavoratore: il sostegno alla genitorialità, l’assistenza ai caregiver, quella sanitaria e psicologica… Chi governa il nostro Paese ha un compito strategico: sostenere le aziende, favorire quelle che investono nei congedi parentali, garantire un welfare più orientato ai servizi senza ricadere in logiche ‘bonus-centriche’. I bonus servono ma poi finiscono.

La virata nelle politiche pubbliche sul welfare aziendale non è rimandabile perché le imprese continuano anche a scontrarsi con cicli economici negativi. Il costo del lavoro troppo alto, i bassi salari, l’inflazione che erode il potere di acquisto delle famiglie e la contrattazione collettiva che langue. «Il welfare aziendale è strategico sia dal punto di vista della defiscalizzazione, quando le aziende riescono a sfruttare la leva degli incentivi fiscali resa disponibile dal decisore pubblico, sia dal punto di vista della valorizzazione dei servizi come strumento per aumentare la appetibilità del pacchetto retributivo,» spiega Rizzi.

«Quando un genitore sa che sul suo territorio manca l’asilo nido e l’azienda glielo offre, di colpo, quel territorio assume una grande importanza». Quello degli asili è un problema serio. L’attuale esecutivo sta cercando risorse aggiuntive, perché l’aumento dei costi delle materie prime ha spinto a una rimodulazione degli investimenti sugli asili previsti nel PNRR. Perché non favorire e allargare esperienze come gli asili nido diffusi, rafforzando il legame tra aziende, famiglie e comunità? Rizzi ricorda che si parla da anni di come investire sugli operatori educativi che utilizzano la propria casa o appartamenti con caratteristiche idonee per offrire servizi di nido familiare. Eppure, aggiungiamo noi, non c’è ancora una normativa chiara. Le Regioni si muovono in ordine sparso.

Come dire, «serve una visione d’insieme sulle policy necessarie ad applicare il welfare aziendale, e sul modello verso il quale vogliamo andare». Le iniziative di sostegno alla genitorialità potrebbero estendersi incorporando le misure che sfruttano la leva fiscale in una prospettiva multidimensionale che guardi a tutti gli aspetti della vita delle persone e alle loro specifiche esigenze. «Mettere in campo i voucher, i contributi o altre forme di sostegno economico-finanziario per i genitori senza dubbio è importante, ma il problema è la carenza di servizi; il settore pubblico in Italia sta disinvestendo e non si è ancora affermato un mercato privato sostitutivo», insiste Rizzi, convinta che le aziende debbano fare rete per accelerare la infrastrutturazione dei servizi di welfare.

«Quello che servirebbe,» conclude la Ceo di Jointly, «è un ecosistema strutturato al quale rivolgersi. Dobbiamo disegnare dei modelli, riuscire ad adattarli a territori che sono uno diverso dall’altro, intervenire con soluzioni personalizzate». Avviene già in altri Paesi europei. Riusciremo ad avere anche in Italia modelli alternativi di assistenza e di servizi alla persona, soluzioni più adeguate ai tempi, meno regolamentazioni che impediscono di replicare ed estendere le buone pratiche di welfare aziendale su tutto il territorio? La politica non può fermarsi nel guado.

Nella legge di Bilancio, il Governo si è impegnato a favorire le madri e la natalità. La volontà politica c’è. Ora bisogna capire quale direzione vuol prendere il Parlamento per incentivare le aziende dal punto di vista della sostenibilità sociale. Senza uno sforzo collaborativo tra Stato e imprese sarà difficile far crescere il welfare in azienda. Il tempo passa, ma chi lavora ne ha sempre meno a disposizione.