Se il mondo dei giovani d’oggi si disegna tra pestaggi e indifferenza
24 Marzo 2010
Un nomade di 23 anni ha ridotto in fin di vita, a pugni, un coetaneo, è accaduto a Foggia. Il ragazzo era uscito a fumare ed è stato aggredito senza un motivo. E’ caduto a terra e nonostante la macchia di sangue, nessuno si è curato di lui. Le telecamere parlano chiaro, questo sta diventando il nostro mondo. E’ rimasto lì nell’indifferenza generale dei ragazzi, finché l’amico ha chiamato i soccorsi. Ora è in coma.
L’indifferenza è l’aspetto più inquietante, oltre ovviamente la violenza gratuita e la tragedia del ragazzo in coma. Ma vorrei fare una riflessione sull’indifferenza dei tanti, che proprio perché tanti, inducono a diversi pensieri. Si può avere paura, è ovvio e legittimo, si può temere per la propria vita. Ma stupisce, quando non ci sono questi elementi in gioco. Mi fa ricordare il terribile video di mesi fa a Napoli dove i passanti scavalcavano un uomo ferito a terra. Forse lì, in un regolamento di conti con armi da fuoco, si può immaginare la paura. Ma in un episodio come questo, fuori una discoteca, dove il gruppo può mettersi contro il singolo, e non viceversa, dove si può fare una telefonata per i soccorsi, dovrebbe essere istintivo per un ragazzo chinarsi a guardare che succede, a dare una mano. E’ stato invece istintivo girarsi!! Anche per il buttafuori che fa finta di niente.
Ci si domanda: come fanno ad avere questo tipo di reazione che non è affatto istintiva? Sembra piuttosto frutto di allenamento. Come si fa a far finta di non vedere e continuare a parlare? Come è possibile non fare un urlo, non avere un sussulto fosse altro per la sorpresa? Ma chi abbiamo davanti? Per un mostro, quello che commette il reato ce ne sono tanti altri che commettono reati diversi, quei reati fatti di omertà, di indifferenza, di silenzio. Non si guarda, non si ascolta, non si conosce. C’è la percezione netta del totale disinteresse per l’altro, per la vita dell’altro. Ognuno è chiuso a guardare se stesso, oggi ci sei, ti parlo, ma puoi anche non esistere più fra un attimo e non mi scompongo. Come se si fosse in un videogioco.
Voglio pensare che ragazzi così si sono bruciati il cervello con la droga, si sono alienati con i videogiochi, voglio pensarlo perché può rappresentare una spiegazione, terribile, ma che dà senso. Poiché se devo pensare che si può essere così a prescindere, allora davvero c’è da avere paura. Paura del non senso che serpeggia tra noi. Siamo tutti in pericolo, poiché ognuno può dar fastidio ad un altro anche senza nessuno motivo e se questo legittima l’aggressione,vuol dire che non ci sono più codici, più etica, non c’è più consapevolezza e controllo. Non si sta morendo per differenza di idee, politiche, religiose, per difesa di patrimoni, di territori, che certamente sarebbe in egual modo da condannare, ma in questo caso e in molti altri che riguardano i giovani, non c’è nulla, non c’è movente, o meglio quello che c’è da i brividi: la noia, il cinismo, il fare qualcosa tanto per fare, il muovere le mani per sentire di esistere.
Cinismo che forse hanno imparato già da piccoli. Sono stati soli, non ascoltati, forse solo accontentati in modo veloce, sciatto, come quando ci si vuole tacitare la coscienza, magari con regali, soldi, televisione, ma sicuramente non con amore, con ascolto, con parole. Il tempo che non si regala a chi è in difficoltà, che non si dedica, le parole che non si regalano, lasciano un segno. Lasciano deserti ignari, dove non attecchisce nulla, nessun sentimento, nessuna emozione. Esse, le parole, curano. A volte basta una parola per far riflettere. Chi sono questi ragazzi, chi hanno incontrato sulla loro strada? Sicuramente nessuno disposto a guardarli ad ascoltarli e loro non guardano, non ascoltano. A testa bassa, con i cappucci sugli occhi vanno avanti a fare azioni prive di senso.