Se ne va il Papa del “Sud Globale”

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Se ne va il Papa del “Sud Globale”

Se ne va il Papa del “Sud Globale”

22 Aprile 2025

La scomparsa di Papa Francesco segna un lutto profondo per tutti, credenti e non credenti. Ma, insieme, apre il tempo di una riflessione che va oltre la cronaca e tocca il senso stesso della cattolicità nel nostro tempo. Non soltanto per l’eccezionalità della sua biografia — un gesuita argentino giunto al soglio di Pietro dalla “fine del mondo” — ma perché con Bergoglio il pontificato ha conosciuto un mutamento profondo di baricentro, che ha investito la geografia, la missione e lo sguardo della Chiesa universale.

Francesco è stato, prima di tutto, il Papa del “Sud globale”. Ha scelto di volgere lo sguardo della cristianità dalle periferie del mondo, capovolgendo l’asse tradizionale: non più Roma che parla alle periferie, ma le periferie che interrogano Roma, e la orientano. Il suo invito a una “Chiesa in uscita” non è stato solo una suggestione pastorale, ma un programma spirituale e strategico, attraverso cui riportare il Vangelo tra gli ultimi, i dimenticati, gli invisibili.

I suoi viaggi in Asia e Oceania — dall’Iraq all’Indonesia, da Timor Est a Papua Nuova Guinea — hanno rappresentato atti ecclesiali e, nel senso più alto del termine, politici: gesti di prossimità a popoli segnati dalla guerra, dalla povertà, dalla marginalità. Nella stessa direzione si sono mosse le sue riforme: dalla riorganizzazione della Curia alla promozione della sinodalità; dalla ridefinizione del Collegio cardinalizio alla centralità della questione ecologica, nella Laudato si’. Fino ai gesti di riconciliazione interreligiosa, come la Dichiarazione di Abu Dhabi firmata con l’Imam di al-Azhar.

E tuttavia, anche una visione tanto ampia e ispirata non è priva di interrogativi. Il tentativo di “decentrare” lo sguardo della Chiesa comporta una sfida delicatissima: come tenere insieme l’universalità e la tradizione. Se il Vangelo parla a tutti i popoli, è in Europa che si è formato il linguaggio della dottrina, il pensiero capace di dialogare con la modernità.

Con il conclave, questa visione entra nella sua ora della verità. Due terzi dei cardinali elettori sono stati nominati da Francesco. Ma non formano un blocco compatto: vi convivono esperienze, culture, sensibilità diverse, spesso anche contrapposte. Se l’Europa mantiene la maggioranza relativa, essa non è più il cuore esclusivo della cattolicità. Le Americhe contano oggi oltre seicento milioni di fedeli; l’Africa è la regione dove la Chiesa cresce più rapidamente.

Da quei continenti provengono vescovi che hanno conosciuto la fatica e i rischi dell’evangelizzazione, ma anche visioni più tradizionali, come dimostrano le reazioni critiche alla Traditionis Custodes o alla Fiducia supplicans. Come tenere insieme una Chiesa universale sempre più globale e plurale? Il conclave sarà il banco di prova di un’eredità che ha voluto ridisegnare la “geopolitica della misericordia”. Potrà confermarne l’impronta, temperarla, o avviare nuove sintesi capaci di ritessere l’unità spirituale e dottrinale della Chiesa: ascoltare le periferie, senza dimenticare le radici.

In ogni caso, ciò che accadrà nelle prossime settimane non risponde soltanto alle categorie della storia. Perché — come ammonisce il Vangelo — lo Spirito soffia “dove vuole”.