Se per Mauro una riforma gaullista è un pericolo vuol dire che è ora di farla

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Se per Mauro una riforma gaullista è un pericolo vuol dire che è ora di farla

20 Ottobre 2009

Il direttore di Repubblica ospite di In Mezz’ora di Lucia Annunziata, sollecitato dalla conduttrice sulle primarie del Pd, ha sostenuto che la riforma di ispirazione gaullista applicata all’Italia è una emergenza a cui è necessario opporsi e che il suo voto alle primarie sarebbe andato a chi tra i candidati alla segreteria del Pd si fosse posto in antitesi con questa ipotesi. Non interessa qui il ruolo politico di Mauro rispetto al subalterno Pd, né l’atipico endorsement non per un candidato, ma per una issue tutta politica. Quel che interessa di più è che questa affermazione sintetizza inequivocabilmente tutta l’arretratezza e l’immobilismo della politica italiana insieme alla inconsistenza delle presunte élites del nostro paese.

Mauro invoca la battaglia preventiva contro qualsiasi forma di cambiamento costituzionale, nonostante siano ormai decenni che tutta la politica parli di riforme e l’architettura costituzionale mostri inevitabilmente tutti i segni del tempo trascorso. Ricorderete di certo i tentativi infruttuosi tentati finora: dalla commissione Bozzi fino alla bicamerale di D’Alema. Vigono le regole del 1948, ma forse da allora qualcosa è cambiato o no? Ma davvero non ci si rende conto ogni giorno di più che la Carta costituzionale nella sua forma di governo non risponde più ai bisogni della società italiana?

Sia il governo Prodi che quello Berlusconi hanno scontato e scontano per ragioni opposte le debolezze delle loro maggioranze, la prima praticamente inesistente sul piano numerico e politico si trascinò a colpi di fiducia e di decreti, la seconda prosegue con decreti e colpi di fiducia nonostante l’ipertrofia nei numeri. Tutto questo anche a causa di una legge elettorale cambiata sì, nel 2006, da Calderoli e Berlusconi, ma su pressione dell’Udc di Casini in funzione antimaggioritaria e antiberlusconiana, premessa fondamentale per una scomposizione del bipolarismo italiano a cui tende anche il progetto del Pd targato Bersani.

Basta ricordare le grida dei primi giorni contro il Porcellum, (poi in verità a sinistra tutti di corsa a scegliersi i propri nominati). E, dopo le elezioni, al fatto che la (non) maggioranza di Prodi si guardò bene dal modificare la legge, tutta presa com’era ad arraffare le tre più importanti cariche dello Stato. Chissà se Mauro ricorda l’avvilente spettacolo delle schede per l’elezione del Presidente del Senato?

L’opposizione oggi in Parlamento non esiste, ha un diritto di tribuna ma non può incidere. I parlamentari di maggioranza, dall’altra parte, nonostante il numero incidono molto poco. Insomma, il Parlamento è di fatto completamente privo del potere di indirizzo politico in un caso come nell’altro. Le leggi e le iniziative legislative si formano ormai altrove. Possiamo ancora chiamare questa nostra Repubblica parlamentare? Le uniche valvole di sfogo sono i ricorsi al Tar, le sentenze sulla costituzionalità delle leggi (non solo del lodo Alfano), le firme intermittenti del capo dello Stato e i referendum abrogativi. Tutto questo dopo lunghe e improduttive sedute e navette tra Camera e Senato. Possiamo continuare così a subire quel che è accaduto dal ‘94 ad oggi, con legislature che si interrompono o presidenti del consiglio che si succedono senza alcuna investitura popolare democratica (Dini, d’Alema I e II, il gabinetto Amato), possiamo ancora accettare ricatti parlamentari come quello a cui l’UDC sottopose il governo Berlusconi dal 2004 in poi? È peccato mortale anche solo immaginare di modificare la forma di governo nel senso in cui già i cittadini hanno mostrato di gradirla e accettarla?

La risposta è scontata. Oggi è necessario adeguare in maniera formale quello che è già materialmente acquisito dai cittadini. Colmare lo iato tra costituzione materiale e formale è una operazione non più rinviabile. È dal ’93 che i nostri enti locali vengono governati con un sistema di derivazione gaullista. E non sembra certo che Mauro, o chi come lui, per i governi locali abbia mai gridato e da tempo immemore all’emergenza. Non pare ci sia emergenza democratica nei Comuni o nelle Regioni o nelle Province in cui si governa direttamente eletti dal popolo con tanto di premio di maggioranza. Del resto, le primarie del Pd non sono forse una forma di indicazione diretta del leader del partito?

Ovviamente anche una maggiore responsabilizzazione della magistratura rientra nel riequilibrio dei poteri. Non le sembra che un potere totalmente irresponsabile vada regolato con meccanismi di controllo democratico? Una firma in calce di un pm oltre che cambiare il corso politico della nazione, può anche rovinare per sempre un cittadino. Certo il Parlamento va dotato di poteri che fungano da controllo al futuro presidente eletto direttamente dai cittadini. Il cambiamento necessario non è certo un’emergenza da esorcizzare, piuttosto una opportunità da cogliere.

La vera emergenza allora, caro Mauro, sta nel suo qualificare il cambiamento della forma di governo come una emergenza ed un pericolo da scongiurare. In questa affermazione sono racchiusi inequivocabilmente tutta l’ arretratezza e l’immobilismo della politica e delle presunte elites italiane. Si pensi al dopo Berlusconi, a modernizzare l’Italia, non a fingere di essere progressisti ma improduttivamente conservatori. L’opposizione dia un senso alla sua presenza in Parlamento partecipando alla stesura del nuovo testo costituzionale secondo l’art 138.

Il PDL dovrà produrre così un testo all’altezza, che dia garanzie e sappia includere istituzionalizzazione del movimentismo berlusconiano e federalismo leghista, ma anche pesi e contrappesi votabili dalle opposizioni. Riuscire significherebbe aprire finalmente un ciclo di stabilità per l’Italia. Fughe aventiniane o delegittimazioni continue del potere liberamente eletto evocano tragici errori e portano solo nel vicolo cieco dello scontro, non solo istituzionale Negarsi al confronto causerà l’ennesima frattura nella nazione, una riforma a maggioranza ed il referendum. Poi però non ci si potrà lamentare né chiedere scusa. D’altronde la stessa Carta all’art 1 prevede che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione. Il diritto del popolo ad esprimersi non è populismo, è esercizio e legittimazione del potere dal basso. In due parole libertà e democrazia.