
Sinistra e realtà, due rette parallele

09 Luglio 2025
Il più grave errore che un politico possa commettere è perdere la percezione della realtà: così come è, e non come si vorrebbe che fosse. O, peggio ancora, perdere contatto con il proprio mondo di riferimento.
È un vizio storico e ontologico della sinistra politica, di diversa ispirazione (comunista, socialista, liberal all’americana), sorta con la speranza di “cambiare il legno storto”, di mitigare, se non annullare i difetti dell’uomo (stato di natura, homo homini lupus). Una tensione millenaristica, messianica, la cui realizzazione ha riempito di tragedie la storia del Novecento.
Tramontato il mito del passaggio dal capitalismo al comunismo, fino all’obbrobrio del capitalismo di Stato sperimentato dalla Cina comunista, agli eredi della tradizione della sinistra è rimasta la via quasi esclusiva del “dirittismo”. Se non è più possibile cambiare i fondamenti economici della società, tanto vale battere la strada dell’esaltazione dei diritti. Anche i più settoriali e lontani dal senso comune.
Gli ultimi fenomeni di tale tendenza attengono la sfera del linguaggio: il tentativo di civilizzare l’uso delle parole (per esempio, se è scorretto usare la parola negro è perché essa ha accompagnato per secoli lo status di schiavitù degli afro-americani) perché il linguaggio indica come siamo e come pensiamo. Allo stesso modo per cui l’invenzione della forchetta ha incrementato il processo di civilizzazione.
La sinistra ha deviato il suo corso: dalla rivoluzione economica a quella dei diritti civili, ponendo al centro del proprio agire i diritti di molti o pochi. Giusto, lecito. Ma su questo crinale il rischio è di perdersi, di andare fuori pista, di perdere il contatto con la realtà, di andare in autostrada contromano e pensare che tutti gli altri siano in errore. Con la conseguenza di alimentare un risentimento di rigetto.
È ciò che accade alla sinistra contemporanea che non riesce a darsi una spiegazione culturale sul perché personaggi come Trump, Orban o Vannacci ottengono successo. Il presidente Usa è l’archetipo della nuova era: uomo di successo, ultramiliardario, rappresenta gli interessi dell’America “bianca, ricca, maschia”, eppure è stato votato da non poche minoranze: ispaniche, afro-americane, infaticabili sognatori del mito americano. Un robin hood all’incontrario che piace.
Per capire il fenomeno occorrerebbe un team di psicologi, sociologi, psicanalisti.
Il leader ungherese Orban e il generalissimo Vannacci discendono dalla stessa scuola: rivendicano il vecchio mondo antico, fatto di tradizioni e rituali, hanno una aspra concezione di “normalità” (e chi è fuori è fuori), del sesso e della famiglia, e hanno il coraggio di utilizzare la lingua esprimendo, senza tentennamenti, tutto ciò che balena per la testa sui gay, minoranze sessuali, migranti. Nulla di nuovo e di scandaloso, dal loro punto di vista.
Un fenomeno analizzato da Elias Canetti, in “Masse e potere: “Nulla l’uomo teme di più che essere toccato dall’ignoto (..) dovunque l’uomo evita di essere toccato da ciò che gli è estraneo”. È l’estraneo, il diverso che genera timore, paura, repulsione. La destra affronta con le proprie “armi” questa tempesta; la sinistra non sa andare oltre la condanna moralistica e pedagogica sui brutti tempi, “signora mia, che siamo costretti a vivere”.
E cosi sinistra e realtà rischiano, come le rette parallele, di non incontrarsi più.