Sono figlio dell”89. Mi sento libero ma non so se è davvero sempre un bene
10 Novembre 2009
"Quanti anni hai?”. Questa è la domanda che mi sentivo porre un giorno sì, un giorno no, durante la mia infanzia. “Come sei grande”. È questa l’osservazione che spesso seguiva la mia risposta. Alcuni ricollegando la mia età all’anno di nascita, aggiungevano: “Ah, sei nato in un anno importante”. Ammetto che preferivo la prima di osservazione, ma quella che mi facevano solo così poche persone, con aria seria, stimolava molto la mia curiosità. Come quando in una favola il protagonista scopre la nobiltà delle sue origini e prevede qualcosa di importante per lui. Questa storia dell’anno di nascita è continuata anche a scuola. Maestre, professori, non mancavano mai di far notare a me ed ai miei coetanei l’importanza dell’anno della nostra nascita, di come la nostra fosse una generazione nuova e avesse quindi una gran responsabilità, testimoniare con l’esistenza un’idea di società diversa.
Siamo noi, infatti, i primi ad avere vissuto tutta la nostra esistenza in un continente veramente libero.
Siamo stati dei veri pionieri? Dei veri testimoni di un “profondo cosmopolitismo”? Di libertà? Di getto direi: la società è peggiorata, altro che pionieri. Sì, si sono infrante le barriere politiche, è vero. Ma se questo è il mondo che ci si aspettava a 20 anni dalla caduta dell’ultimo simbolo del regime… Poi penso: abbiamo solo 20 anni. Non abbiamo potuto fare tanto. Io credo che ad avere influito nell’evoluzione della società sia stato chi aveva 20 anni allora. Quindi chi da cosciente ha potuto vedere e somatizzare i cambiamenti di quegli anni. Diciamo quindi chi è stato allevato nel clima degli anni ‘70. E che nell’89, nel pieno delle forze psico-fisiche , ha vissuto quegli anni. A noi solo la colpa (non piccola comunque), di avere subito questi cambiamenti.
Ne è un esempio il problema dei crocifissi. A scatenare la politica sono stati degli studenti? O bambini afflitti da angosce esistenziali alla visione della croce in classe? No, alcuni genitori si sono lamentati. E noi 20enni ce ne siamo disinteressati. E l’Europa ha imposto la loro rimozione.
Come volevasi dimostrare. Relativismo da una parte, menefreghismo dall’altra. Se rinneghiamo i principi che hanno ispirato la formazione della nostra identità europea, dove vogliamo andare? Ripeto, questa non è una conquista evolutiva, è un errore.
Si è fatto coincidere – secondo me – questo progetto di libertà con un’idea sbagliata: la rottura con il passato. Infatti adesso come adesso, ognuno è libero di fare ciò che vuole. Ognuno può intraprendere strade politiche, lavorative, sociali, civili, di qualsiasi genere. E questo è bellissimo. Da quel punto di vista si è lavorato bene secondo me. Ma mancano i punti di riferimento e di contatto col passato, e questa non è una conquista. È una stortura. Non sono un sociologo, non ho i mezzi per giudicare processi ed evoluzioni sociali, però noto come a separare i miei nonni e i miei genitori ci sia il semplice scorrere del tempo, mentre fra me e i miei genitori sembrano passate 4 o 5 generazioni.
Io mi sento colpevole fino ad un certo punto. La società di oggi non è figlia dell’89, andiamo ancora indietro di 21 anni.