
State calmi che il debito italiano paragonato ad altri non è un disastro

15 Luglio 2011
Le tensioni registratesi in questi giorni sui mercati sono dovute essenzialmente a due elementi: il primo è quello di una classica speculazione “ribassista” promossa dagli hedge fund, i quali vendono titoli italiani per abbassarne il prezzo, per poi ricomprarli quando la loro quotazione diviene inferiore al valore nominale ( =100 ); il secondo è invece più complesso e si collega a quanto sta avvenendo negli Stati Uniti. Nonostante se ne parli poco, il livello del debito pubblico americano supera di molto quello italiano, senza contare poi come la ricchezza privata delle famiglie statunitensi sia inferiore a quella delle famiglie italiane. Inoltre, la Cina Popolare, che detiene la maggior parte del debito pubblico di Washington, nei prossimi anni probabilmente ridurrà la quota del suo surplus commerciale destinata ad acquistare titoli di Stato americani, preferendo reinvestirla in progetti interni per migliorare il quadro sociale del Paese. Secondo quanto emerso recentemente, la situazione interna in Cina è infatti assai tesa: esiste un forte malcontento popolare causato dall’enorme disparità di ricchezza esistente – accanto ad una élite che si è arricchita, la stragrande maggioranza della popolazione vive di fatto a unlivello di quasi povertà – e dall’alta inflazione che rende proibitivi gli acquisti di generi di prima necessità per una parte considerevole dei cinesi. In diverse aree del Paese si sono inoltre verificati dei disordini sociali tra lavoratori in sciopero e forze dell’ordine. Pertanto, prima che venga raggiunta l’intesa sui tagli al bilancio tra Obama e il Congresso, il finanziamento del debito pubblico Usa necessita che parte dei capitali venga trasferita dall’Europa agli Stati Uniti. In questo scenario va considerata anche l’azione delle agenzie di rating − nessuna delle quali è europea − che con i loro giudizi negativi spingono una parte degli investitori istituzionali ad abbandonare i titoli del debito pubblico dei Paesi europei per favorire il loro rientro negli Stati Uniti.
Riguardo al nostro debito pubblico devono però essere fatte due considerazioni: la prima è che la metà è posseduta da investitori privati ed è quindi assai più gestibile rispetto al debito di altri Paesi. La seconda è che, finché alle aste di collocamento le richieste rimarranno superiori al valore immesso sul mercato, al nostro debito è garantita la piena solvibilità. Si deve poi aggiungere che il livello di ricchezza privata in Italia è nettamente superiore a quello degli altri Paesi europei, dal momento che le famiglie italiane non hanno un forte indebitamento, al contrario di quelle degli Stati Uniti o del Regno Unito. L’alto rapporto debito pubblico/Pil è perciò compensato dal minore indebitamento privato italiano, cosa che ne rende il livello assolutamente sopportabile per la nostra economia.
Passando alla borsa va invece osservato come la debolezza dell’indice italiano – che ha registrato una prestazione inferiore rispetto agli altri Paesi – dipende essenzialmente al fatto che il suo listino principale FTSE MIB è composto per la maggior parte da titoli bancari, i quali, essendo i più esposti alla speculazione, tendono ad appesantire le perdite dell’intero mercato.
In conclusione, la differenza tra l’Italia e gli altri Paesi periferici europei può riassumersi così. La Grecia e l’Irlanda sono state costrette a ricorrere all’aiuto internazionale non perché avevano un alto debito pubblico, ma perché il loro rapporto deficit/Pil era insostenibile. La Grecia ha vissuto sui debiti concessi dalle banche regionali tedesche e francesi e ha un sistema economico basato esclusivamente sul turismo e i noli marittimi; l’Irlanda, dal canto suo, ha visto il suo rapporto deficit/Pil schizzare in alto, dopo che il governo è stato costretto a ricapitalizzare le banche per ripianarne i debiti provocati dai facili prestiti che queste avevano concesso ad imprese edilizie e privati cittadini durante gli anni del boom. A differenza della Grecia, però, l’economia irlandese è basata sulle esportazioni (l’isola, ad esempio, è uno dei leader europei nell’assemblaggio dei computer) ed è quindi in grado di assorbire meglio i piani di austerità rispetto al sistema economico greco. L’Italia invece ha un rapporto deficit/Pil al 4,6%, un’economia fortemente esportatrice e banche solide che finora hanno superato tutti gli stress test imposti agli istituti di credito. Inoltre − occorre ripeterlo −il livello di indebitamento privato nel nostro Paese è basso e la ricchezza delle famiglie italiane molto elevata, essendo seconda solo a quella dei nuclei familiari giapponesi. È chiaro che una situazione simile necessita della massima attenzione. Ma il catastrofismo, spesso usato per soli scopi di politica interna e proposto ad un’opinione pubblica completamente a digiuno di competenze specifiche, non solo è del tutto fuori luogo, ma serve solo a peggiorare le cose.