Stati Uniti e Iran: regime change o grand bargain? Visioni a confronto
13 Marzo 2010
di James Joyner
Gli Stati Uniti dovrebbero ricercare un deciso riavvicinamento con l’Iran seguendo l’esempio dell’apertura alla Cina sotto Nixon? O dovremmo invece sostenere apertamente coloro che richiedono riforme interne e rovesciare il governo così come abbiamo fatto con l’Unione Sovietica sotto Reagan? Flynt Leverett e Michael Ledeen hanno sostenuto, rispettivamente, la prima e la seconda alternativa in un acceso dibattito promosso dal South Asia Center dell’Atlantic Council di Washington, moderato da David Ignatius.
Come osservato da Ignatius nella sua introduzione al dibattito, molto spesso “la gamma di opinioni ammissibili a Washington normalmente va da A a B, forse anche fino a C”. In questo caso, però, Leverett e Ledeen esprimono “un autentico disaccordo sul modo in cui gli Stati Uniti dovrebbero agire riguardo a quella che probabilmente rappresenta la nostra massima priorità in politica estera”.
Ledeen ha vinto a testa o croce e ha aperto il dibattito con la netta convinzione che “noi possiamo contemporaneamente impegnarci con l’Iran e sostenere la rivoluzione al suo interno. È quello che abbiamo fatto in Unione Sovietica. Non esiste alcuna ragione al mondo per cui non possiamo farlo anche con l’Iran”.
Ledeen, Freedom Scholar alla Foundation for the Defense of Democracies, ha osservato: “Ci siamo già impegnati per ben 31 anni, secondo i miei calcoli. Ogni presidente americano alla fine è giunto alla conclusione di poter raggiungere un grande accordo con l’Iran e ci abbiamo provato. Persino George W. Bush lo ha fatto”.
Eppure questi tentativi sono tutti falliti, perché, secondo Ledeen, “il dato di fatto essenziale per gli Stati Uniti e per la politica americana è che l’Iran è in guerra contro di noi, e lo è da 31 anni”. Infatti, “l’Iran uccide gli americani ogni qualvolta e dovunque ne abbia la possibilità. Ci sono voluti anni prima che fosse possibile far notare alla buona società, qui o altrove, che gli IEDs (Improvised Explosive Devices, ndr), divenuti la causa principale delle vittime americane sia in Iraq che in Afghanistan, in gran parte fossero di origine iraniana”.
In tali circostanze, dunque, Ledeen crede che “la questione dell’Iran sia uno dei rari casi in cui i doveri morali si intrecciano e vanno a coincidere con quelli strategici. E per questo sono convinto che sostenere la rivoluzione in Iran sia giusto sul piano morale e, al tempo stesso, sia sensato dal punto di vista strategico”.
Leverett, Senior Fellow della New America Foundation ed ex analista della CIA e alto funzionario del National Security Council, ha iniziato con la semplice premessa che “gli Stati Uniti hanno bisogno di un riavvicinamento strategico con la Repubblica Islamica dell’Iran. E non si tratta di un qualcosa che farebbe piacere ottenere. Si tratta di un imperativo”. Per quale ragione? Perché “gli Stati Uniti non possono raggiungere nessuno dei loro principali obiettivi in Medio Oriente – sia che si tratti del processo di pace arabo-israeliano, o del consolidamento del dopo guerra in Afghanistan e in Iraq, o della lotta contro Al Qaeda, o della possibilità di garantire la sicurezza energetica – senza una relazione più produttiva con l’Iran”.
Leverett crede che “si possa tracciare un’utile analogia tra la Repubblica Islamica di oggi e la Repubblica Popolare cinese tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta”, dove l’impegno nei confronti di una “potenza regionale emergente” ripagò enormemente.
E, sebbene “ciascuna amministrazione abbia tentato in qualche modo di impegnarsi con la Repubblica Islamica”, Leverett ne respinge l’operato, definendole tutte “focalizzate in modo restrittivo, di solito su qualche aspetto tattico specifico” e quindi poco invitanti per un regime che diffida delle intenzioni americane. L’Iran risponderà solamente a un accordo globale.
Ledeen controbatte, “non credo che riusciremo mai a raggiungere un modus vivendi – chiamiamolo così – accettabile con l’Iran fino a quando alla sua guida ci sarà questo governo. Semplicemente non penso che succederà. Credo che nutrano dell’odio nei nostri confronti. Penso che la Repubblica Islamica sia basata sull’odio verso l’America; un desiderio di distruggerci o dominarci insieme a tutti gli altri infedeli”.
Di certo, osserva Ledeen, non sono solamente gli Stati Uniti ad aver fallito nel tentativo di trovare un punto d’incontro con l’Iran. “Vuoi forse biasimare anche i francesi, gli inglesi, i tedeschi, gli italiani, i russi e così via? Tutti gli altri, cioè, che stanno tentando di raggiungere una qualche forma di accordo con l’Iran su una questione ben precisa, quale quella dell’arricchimento di uranio?”
Detto questo, Ledeen ci ricorda anche di essersi “schierato per anni contro ogni forma di azione militare nei confronti dell’Iran. E sono profondamente contrario alle varie richieste di bombardare, persino di bombardare gli impianti nucleari e così via”. Invece, “ho sempre appoggiato, sia in Iran che altrove, la rivoluzione democratica, non violenta, che è ciò che sto richiedendo in Iran. E sono convinto che il paese sia proprio sull’orlo di una rivoluzione simile, che credo sia molto facile da realizzare”.
Leverett ha replicato: “Da 30 anni gli analisti neoconservatori sostengono che la Repubblica Islamica dell’Iran sia sull’orlo di un radicale sollevamento politico”. Leverett non vede alcuna prova a sostegno di simili speranze. Al contrario, “in Iran hanno già avuto una rivoluzione 31 anni fa. Non ne vogliono un’altra”. Oltretutto, “potrebbe non piacerci, potremmo non comprenderlo, ma la maggior parte degli iraniani vuole vivere nella Repubblica Islamica dell’Iran. È possibile che vogliano un’evoluzione della Repubblica Islamica in vari modi. Ma non vogliono che l’aggettivo Islamico venga rimosso dal nome del loro paese”.
Al di là di questo, Leverett è convinto che non esistano “prove certe” del fatto che le recenti elezioni presidenziali siano state truccate, nonostante i più in Occidente sostengano insistentemente il contrario. Per Leverett questa sfiducia che si riflette nei confronti del governo iraniano “nel complesso ricorda troppo il dibattito nel nostro paese durante la fase che ha preceduto l’invasione dell’Iraq”.
Inutile a dirsi, nessuno dei due alla fine del dibattito ha cambiato idea. Se lo abbia fatto qualcun altro tra il pubblico non so dirlo, ma almeno tutti hanno avuto la possibilità di ascoltare due opinioni sensate, con un energico dibattito sui pro e i contro: di certo un evento raro in questa città.
Per quanto mi riguarda, trovo che raramente ci si possa sbagliare assumendo le ipotesi più pessimistiche di entrambe le parti e presumendo che diventino realtà. Ledeen ha quasi certamente ragione nel sostenere che Stati Uniti e Iran abbiano semplicemente posizioni troppo divergenti per poter giungere a un accordo amichevole globale. Sarebbe fantastico se l’Iran ci aiutasse a risolvere gli innumerevoli problemi che abbiamo nella regione, ma lo farà solamente in quei casi in cui non potrà permettersi di agire diversamente.
D’altro canto, concordo con Leverett quando dice che l’implosione del regime islamista è una fantasia dei neoconservatori. Abbiamo fatto affidamento sugli “iraniani moderati” sin da quando Ollie North e la gang preparavano elaborate armi per l’accordo sugli ostaggi, e abbiamo ricevuto continue delusioni. Il Movimento Verde non rappresenta la crescita di un movimento democratico jeffersoniano, bensì i sostenitori di un candidato islamista rivale con l’approvazione del regime.
Che esistano prove certe o meno, sono quasi sicuro che le ultime elezioni siano state un furto. Che diavolo, sono quasi sicuro che anche quelle precedenti lo fossero. Ma, alla fine dei conti, il presidente iraniano è un ornamento di facciata. L’Iran è guidato dagli ayatollah, non dalle coperture.
Allo stesso tempo, Ledeen ha quasi sicuramente ragione nel sostenere che bombardare l’Iran non è un’opzione possibile. (E dico “quasi” solamente perché Chuck Wald, che ne sa qualcosa di operazioni aeree, non è d’accordo).
Purtroppo questo significa che probabilmente non ci toccherà solamente assistere al permanere dei mullah al potere in Iran ma, alla fine, dovremo accettare “l’inaccettabile” realtà di vedere quel regime dotarsi di armi nucleari. Ma se non possiamo parlare, sperare, o far ricorso alle bombe per allontanare una fine del genere, è proprio lì che ci porterà questa strada.
© Atlantic Council
Traduzione Benedetta Mangano