Stati Uniti, è ora di tornare ad una politica estera bipartisan
01 Gennaio 2011
Le elezioni di medio termine di quest’anno hanno segnato la prima volta dall’11 settembre in cui la sicurezza nazionale non è stata la considerazione principale fatta dagli elettori americani. Ma è proprio nell’ambito della politica estera e della sicurezza nazionale che potremmo trovare le più grandi opportunità per una collaborazione bipartisan tra il presidente Obama e i repubblicani in nuova ascesa al Congresso.
Per cogliere queste opportunità entrambi i partiti dovranno uscir fuori da un ciclo distruttivo che li ha intrappolati sin dalla fine della Guerra Fredda e che ha causato la loro dipartita da quell’onesta tradizione internazionalistica che aveva legato presidenti democratici come Truman e Kennedy a presidenti repubblicani come Nixon e Reagan.
Nel corso degli anni Novanta, troppi repubblicani al Congresso si opposero per riflesso incondizionato alle politiche di Clinton nei Balcani e altrove. Allo stesso modo, durante il primo decennio del 21mo secolo, troppi democratici giunsero a considerare l’esercizio del potere americano sotto il presidente Bush dopo l’11 settembre come un pericolo ben più urgente di quello rappresentato dagli autentici nemici che nel mondo ci eravamo trovati ad affrontare.
Ancor più vero fu che i metodi e gli ideali in politica estera tanto del presidente Clinton che di Bush rientravano nella corrente principale della storia e dei valori americani. E a poter guardare attraverso la nebbia di partigianeria che ha continuato a soffocare Washington dall’elezione del presidente Obama nel 2008, si vedrebbe che è lo stesso anche per la nuova amministrazione.
Il presidente Obama si è spostato in direzione del centro internazionalista su varie questioni chiave per la sicurezza nazionale. Benché entrambi i partiti esitino a riconoscerlo, la storia della politica estera dell’amministrazione Obama presenta più continuità che cambiamento rispetto al secondo mandato dell’amministrazione Bush – dal surge in Afghanistan alla riautorizzazione del Patriot Act, dagli attacchi dei droni contro al-Qaeda all’impegno a lungo termine in Iraq.
I repubblicani hanno conservato la lealtà anche nei confronti delle politiche internazionalistiche che avevano appoggiato sotto il presidente Bush. Quando hanno criticato l’amministrazione Obama si è trattato di un riflesso di una tale visione del mondo, che si è concretizzato nel sostenere che la Casa Bianca non si è impegnata a sufficienza nella prosecuzione della guerra in Afghanistan o che non ha fatto abbastanza per la difesa dei diritti umani e della democrazia in posti come l’Iran e la Cina.
La questione critica adesso, in vista dei prossimi due anni, è se questa convergenza dei due partiti verso il centro internazionalista possa essere sostenuta e rafforzata. In materia di sicurezza nazionale ci sono tre priorità nelle quali c’è urgente bisogno di un tale consenso.
La prima è il conflitto in Afghanistan. Vada a suo merito: il presidente Obama ha impegnato lo scorso dicembre oltre 30.000 militari in Afghanistan come parte di un’ampia campagna contro l’insurrezione, nonostante l’opposizione all’interno del partito Democratico.
È da poco che sono tornato dall’Afghanistan, e confido sempre di più nel fatto che da quelle parti il vento stia cominciando a soffiare a nostro favore con segnali crescenti di progresso militare. Ma come ha avvertito il generale Petraeus, il più alto comandante americano in Afghanistan, il successo non verrà presto né con troppo agio e ci sarà ancora da combattere duramente. È tutt’altro che sicuro che non più di un piccolo numero di forze statunitensi potrà ritirarsi responsabilmente nel luglio 2011 e che il successo in Afghanistan finirà per richiedere un impegno a lungo termine oltre questa data da parte degli Stati Uniti.
Sostenere l’appoggio politico alla guerra in Afghanistan renderà dunque sempre più necessario che il presidente Obama e i repubblicani al Congresso siano uniti. Un fallimento nel sostegno a questa alleanza bipartisan comporta il rischio che possa formarsi una coalizione alternativa all’interno del Congresso tra democratici contrari al conflitto repubblicani isolazionisti. Questo potrebbe costituire la più grande minaccia politica alla riuscita dello sforzo bellico in Afghanistan, che resta critico per la nostra sicurezza in patria.
La seconda priorità di una bipartisanship per la sicurezza nazionale deve essere impedire all’Iran di acquisire potenziale bellico nucleare, un fatto che metterebbe drammaticamente a rischio la nostra sicurezza nazionale. Su questo argomento, il nostro operato al Congresso negli ultimi due anni dà motivi per essere ottimisti. Nonostante la sfiducia dilagante e la divisione fra i due partiti su gran parte delle questioni, democratici e repubblicani hanno votato con straordinaria compattezza per far passare la più dura legge di sanzioni all’Iran mai realizzata. Ora dobbiamo assicurarci che le sanzioni vengano aggressivamente applicate. È necessario inoltre lavorare insieme per inviare al regime iraniano il chiaro messaggio che l’America è unita e determinata a impedirgli di acquisire potenziale bellico nucleare – con mezzi pacifici per quanto ci sarà possibile, con altri mezzi se proprio ci troveremo costretti.
Una terza priorità per una collaborazione bipartisan dovrebbe essere la regione Asia-Pacifico, dove le imprese statunitensi hanno grandi opportunità di aprire nuovi mercati che creeranno nuovi posti di lavoro qui in patria, e dove sia i vecchi alleati che i nuovi amici si aspettano che Washington assuma una leadership forte e onesta di fronte a una Cina sempre più assertiva. Entrambi di volta in volta chiedono agli Stati Uniti di adottare una strategia commerciale lungimirante e improntata all’ottimismo.
Sfortunatamente, in passato la politica commerciale americana è rimasta bloccata per diversi anni in un ingorgo politico, un’impasse alla quale il presidente Obama e i repubblicani al Congresso possono adesso mettere fine. Il punto di partenza più logico per questo sforzo è il free trade agreement fra Stati Uniti e Corea del Sud, negoziato dal presidente Bush e abbracciato da Obama. Non appena i negoziatori statunitensi e sudcoreani saranno riusciti a sciogliere i pochi nodi di disaccordo ancora irrisolti, e si spera che ciò accada entro poche settimane, il patto potrà andare avanti.
E mentre questo mese il popolo americano ha di nuovo votato per il cambiamento, placare i battibecchi partigiani che a Washington sono già cominciati resta un’impresa che intimidisce. Ironia della sorte, una politica del genere potrebbe alla fine risultare più facile da fare all’estero che in patria. Il presidente Obama e i repubblicani al Congresso hanno l’occasione storica di costruire un nuovo consenso che riunisca democratici e repubblicani su una delle più importanti sfide in materia di politica estera che l’America si trova davanti e rendere così il nostro paese più sicuro e più prospero.
© The Wall Street Journal
Traduzione Andrea Di Nino