Sull’Ucraina, la sinistra come l’asino di Buridano

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Sull’Ucraina, la sinistra come l’asino di Buridano

Sull’Ucraina, la sinistra come l’asino di Buridano

19 Marzo 2024

I segnali ci sono tutti: si annuncia una primavera tempestosa per la politica italiana. E il principale banco di prova per le coalizioni è la politica estera.
Stare dalla parte dell’Europa e dell’Occidente, nel solco della storia italiana dal Dopoguerra in poi, oppure subire la fascinazione delle autocrazie russe e cinesi, sperando nel ritorno di Trump alla Casa Bianca?

Non è una questione da poco e le diverse anime delle coalizioni tendono ad ingigantire le divergenze per posizionarsi in vista delle Europee in cui il voto proporzionale induce più a fare “guerra” al partito più vicino che al campo avverso.

La destra ha una innegabile capacità a nascondere le divergenze interne. Salvini e Tajani, i due vicepremier, in politica estera sono su fronti opposti, come emerge dalle dichiarazione “accomodanti” di Salvini sul trionfo blindato di Putin, con il leader di Forza Italia che riafferma le “perplessità” sul plebiscito per il nuovo zar russo in un voto senza oppositori e con evidenti violenze nei seggi elettorali.

Le dichiarazioni del leader leghista mettono in evidente imbarazzo la premier, costretta ad assumere una posizione equilibrista per niente comoda mentre persegue l’obiettivo di riannodare rapporti sempre più stretti con i vertici europei. E si sommano all’offensiva leghista, andata a male, sul terzo mandato per governatori e sindaci.  Salvini cerca spazio, strattona, perché è consapevole che  con il prossimo voto si gioca la partita della vita.

Anche a sinistra l’aria che tira è tutt’altro che serena. Il campo largo si sta riducendo a un “campetto” di periferia, come emerge dalle trattative per le regionali in Basilicata e in Piemonte, in cui l’alleanza perde pezzi o a sinistra o a destra.

L’accordo tra Pd e M5S è una scelta obbligata per la Schlein, che non ha una via di fuga alternativa, anche a rischio di perdere l’ala riformista del partito e della coalizione. Conte, invece, può permettersi di avere un atteggiamento ambivalente, di contrattare caso per caso intese parziali. Senza stringere patti per tutta la vita. La vera divergenza tra i due partiti è stabilire chi guiderà in futuro la coalizione: Schlein  o Conte? Se la leader del Pd dovesse cedere lo scettro, la possibilità di sopravvivere alla guida del partito sarebbe a forte rischio persino dinanzi ad un successo elettorale alle Europee.

E poi restano i temi della politica estera: le sirene pacifiste – che significa lasciare l’Ucraina al suo destino – sono visibili nel M5S e latenti, ma non troppo, nel Pd. Se prevarranno sarà un altro schiaffo per l’ala riformista del Pd.
L’alleanza, più o meno larga, se si rivela una spuria sommatoria, e non un’intesa sui contenuti e sui valori, come emerge da non poche consultazioni, tende a disperdere il consenso, non a moltiplicarlo.

Quindi: se la destra deve fronteggiare e governare la sfida nelle urne europee e amministrative tra le sue tre anime, la sinistra appare in mezzo al guado. Come l’asino di Buridano che, immobile, morì di fame per non sapere scegliere tra due mucchi di fieno, situati a sinistra e a destra.
Tra riformismo e populismo di sinistra.