Turchia, la posta in gioco tra l’islam conservatore e il laicismo dei militari
27 Febbraio 2010
Caso Turchia. Quanto sto per scrivere risulterà probabilmente sgradito a diversi che in Italia si riconoscono nell’area politico-culturale del Centrodestra nonché a certi ambienti cattolici di sensibilità diciamo “tradizionalista”. Ma non vi è dolo, lo giuro.
I recenti arresti di vertici e di alti esponenti delle forze armate turche per presunte trame golpiste risalenti a qualche anno fa (la magistratura turca faccia il suo corso, accerti, verifichi, si pronunci definitivamente, per carità) da parte del governo retto dal primo ministro Recep Tayyip ErdoÄŸan vengono generalmente giudicati più o meno come un imbroglio ordito e messo in pratica da Ankara per colpire i più seri e minacciosi e reali oppositori del governo, i quali si battono affinché la Turchia non finisca preda dell’ultrafondamentalismo islamista. Cioè più o meno la medesima accusa che all’esecutivo di ErdoÄŸan muovono determinati settori di quelle stesse forze armate ora coinvolte nello scandalo, le quali, in un Paese non certo nuovo a colpi di Stato militari, svolgono da sempre il ruolo di cane da guardia del regime di laicità rigida voluto e sancito e imposto anche dittatorialmente al Paese dall’uomo politico e militare nazionalista Mustafa Kemal Atatürk (1881-1938), l’autonominatosi “padre dei turchi” fondatore e primo presidente della Repubblica Turca, settori delle forze armate sempre più o meno scopertamente fiancheggiate da una magistratura (fino a ora?) ben poco indipendente.
Il ragionamento, sia di certi settori delle forze armate turche sia di chi oggi in Occidente si scandalizza per quanto giudica essere un attento bello e buono alla democrazia e alla laicità dello Stato da parte di ErdoÄŸan, si svolge grosso modo così: il kemalismo è il vero cemento dello Stato-nazione turco, anzi la sua ragion d’essere e la sua prima spinta creatrice; il nazionalismo che lo ispira è una forza sana che ha permesso in Asia Minore la creazione di uno Stato-nazione unitario moderno alleato degli Stati-nazione unitari e moderni dell’Occidente; e il laicismo che lo anima è l’unica opzione politica seria in un Paese a (stragrande) maggioranza musulmana che altrimenti diverrebbe un ennesima mina vagante nelle costole del mondo libero tipo Iran, Irak, Afghanistan talebano, e via discorrendo. Per converso, la “politica nuova” di ErdoÄŸan viene accusata di voler bypassare di fatto e sostanzialmente le barriere antifondamentaliste imposte al Paese dal kemalismo allo scopo di re-introdurre dalla finestra quell’islamismo che è stato invece da tempo cacciato dalla porta. E siccome per certo tutti noi, soprattutto se di Centrodestra, filo-occidentali e magari pure cattolici di sensibilità “tradizionalista”, l’ultima cosa che vogliamo è plaudere all’ultrafondamentalismo musulmano, e quindi avere un problema islamista in più da affrontare sullo scacchiere internazionale, occorre che solidarizziamo con l’eredità kemalista la cui bandiera turca viene oggi sventolata alta dalle forze politiche nazionaliste di quel Paese e da certi settori delle forze armate, aborrendo invece l’opzione “neoislamica” di ErdoÄŸan.
Ma le cose sono ben più complesse.
A parte il fatto che davvero paradossale è che forze politico-culturali di quella parte del Centrodestra che positivamente tiene a combattere il relativismo dilagante da noi giacché si riconosce nelle radici cristiane dell’Occidente, a maggior ragione i cattolici “tradizionalisti”, è paradossale dicevo che mondi così si trovino a plaudire, favorire e invocare la scelta laicista per la Turchia la quale altro non è, sin dalle sue origini kemaliste, che una variante locale della mentalità di tipo illuministico-massonica da loro tanto detestata, è falso pensare che in Turchia l’alternativa stia solo fra il nazional-laicismo da un lato e l’islamismo ultrafondamentalista dall’altro. E che dunque ogni tentativo di superare il primo configuri sempre e solo una ricaduta pericolosa nel secondo.
So bene che a questo punto l’eventuale lettore appartenente a uno di quei due mondi evocati sin d’esordio sta scuotendo la testa per timore che il sottoscritto si metta ora a impetrare le improbabili grazie del cosiddetto “islam moderato”, ma non lo farò. Non lo farò perché so bene che l’“islam moderato” è una fictio funzionale al parlarne (una sorta di pensiero di pensiero) e non una realtà storica, tantomeno una cosa politica.
L’oggetto invece davvero storico e sul serio politico su cui si vuole qui portare l’attenzione è la vera “terza via” alternativa ai due mali estremi del laicismo da un lato e dell’ultrafondamentalismo dall’altro, facce in vero speculari della stessa medaglia. E cioè l’islam conservatore: l’islam religioso che detesta il nazional-laicismo massonicheggiante turco tanto quanto lo detestano per il proprio Paese certi ambienti del nostro Centrodestra nonché il mondo cattolico “tradizionalista” e quello, sempre lo stesso, che detesta la riduzione ultrafondamentalista della fede islamica che si accoppia volentieri con lo jihadismo terrorista.
Si badi bene, quella dell’islam conservatore non è una teoria, una corrente solo di pensiero, una scuola intellettuale come l’“islam moderato”: è una realtà, fatta di uomini e di donne, i quali, per insondabili misteri della storia, professano oggi sì la fede musulmana ‒ qualsiasi cosa noi si pensi di essa ‒, ma che storicamente e politicamente ‒ quanto genuinamente e legittimamente agli occhi dei vari salafiti, wahhabiti o deobandi interessa qui poco o punto ‒ non sono né vogliono appartenere alle greggi dell’ultrafondamentalismo terrorista. Talora i paraggi dell’islam conservatore vengono persino costeggiati e attraversati da uomini e da donne che gli ambienti laicisti occidentali chiamano sbrigativamente “fondamentalisti” e che però vanno invece 1) tenuti sempre distinti dai jihadisti poiché ben distinti sono, 2) non sono né saranno mai dei fanatici terroristi. Il mondo cioè che più o meno riconoscibilmente e consapevolmente si staglia in Turchia appunto dietro ErdoÄŸan.
Ora, è solo questa opzione islamica conservatrice l’arma che può battere l’ultrafondamentalismo jihadista dentro l’islam e su suolo islamico, impedendo pure che alcuni “fondamentalisti” non terroristi, frustrati però dalla prepotenza laicista, finiscano disgraziatamente per darsi alla lotta armata, e questo perché essa, l’opzione islamica conservatrice, è l’unica in grado di superare sia il laicismo sia il fanatismo salvando la religione per i religiosi e la “sana laicità” per tutti. Anzi, secondo taluni, interpretando e vivendo l’islam assai più legittimamente e compiutamente dell’ultrafondamentalismo jihadista.
Aggiungiamoci poi che i musulmani conservatori sono di solito non preventivamente ostili all’Occidente, e talora suoi dichiarati amici, e la cosa si fa allora davvero interessante. Soprattutto se e quando l’Occidente che costoro incontrano sa apprezzarne lo spirito religioso, ancorché diverso dal proprio, la forma mentis conservatrice, la lotta al laicismo, la battaglia contro l’ultrafondamentalismo. Ovvio, dunque, che l’islam conservatore venga odiato come poche cose sia dal nazional-laicismo turco e non turco sia dall’ultrafondamentalismo jihadista: per entrambi costituisce infatti l’unico vero concorrente capace si soppiantarli. Mi si perdoni ora il linguaggio seguente, un poco confessionale.
Anche i musulmani sono figli di Dio e anche per loro Gesù Cristo ha versato il proprio sangue. Quindi, per esempio per un cattolico, è doveroso “volere loro bene”, il che non significa iscriversi alla Caritas, ma “volere il loro bene”. Il loro bene supremo è la conversione. Ma un bene (relativo) è il loro “non peggioramento”; quindi è un bene (relativo) il loro permanere nella religione islamica (visto che se ritiene il cattolicesimo la verità piena, un cattolico sa pure bene che l’errore si allontana dal vero per cerchi concentrici successivi, dunque per gerarchie di male in peggio) piuttosto che il convertirsi che so al movimento di Sai Baba o, mamma mia, al laicismo, nella variante massonica oppure in quella marxista. Pensare che una massiccia conversione d’islamici al laicismo o al neocomunismo che so uzbeko di un Islom Abdug‘aniyevich Karimov sia un’ottima cosa giacché “disinnesca” la bomba islamica è un ragionamento puramente politico, cinico bensì non cattolico, riscontrabile purtroppo in molti quartieri, anche amici, ma che è intrinsecamente sbagliato. E questo ragionamento funziona perfettamente anche in una versione più laica.
Pertanto, tra restare pii musulmani amici di ErdoÄŸan e diventare kemalisti, per i turchi è meglio la prima opzione (ovvio, fino al raggiungimento del loro bene supremo, la conversione, per cui per esempio un cattolico ha sempre il dovere di pregare e di operare): restare musulmani religiosi e conservatori amici di quell’Occidente dove ci son pure dei cattolici che vogliono il bene delle loro anime senza per questo apprezzare l’islam.
Storicamente, infatti, la variante d’islam di ErdoÄŸan nasce in polemica, e non in continuità, sia con il fondamentalismo sia con il modernismo islamico. Sì al velo, cioè, ma no alle bombe. Diventato enorme, il partito di ErdoÄŸan ha poi conosciute pure esso le sue belle correnti interne, alcune delle quali danno certamente un’interpretazione dell’islam più vicina al fondamentalismo, tuttavia più in politica estera che in politica interna. Una buona lettura a questo punto è La Turchia e l’Europa. Religione e politica nell’Islam turco (Sugarco, Milano 2006) del sociologo della religione nonché esperto di geopolitica e di terrorismo internazionale Massimo Introvigne.
Ora, alle latitudini che stiamo considerando esiste pure una “destra” interna all’APK, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo di ErdoÄŸan, che certo non vuole la shari’a in Turchia ma che auspica l’alleanza con Hamas e con l’Iran perché odia gli Stati Uniti e Israele. Ci può piacere una opzione così per la Turchia solo perché è antiultrafondamentalista?
La verità del resto è che, osservando la Turchia, appare chiaro quanto la “destra” dell’APK sia oggi oggettivamente alimentata proprio dall’Europa che mira a disinnescare lo jihadismo. Ma più l’Europa rintuzza la Turchia per colpire l’ultrafondamentalismo, più essa finisce per rafforzare le forze nazional-laiciste ferite nell’orgoglio patrio, soprattutto quelle meno amiche dell’Occidente, ai danni del conservatorismo “centrista” di ErdoÄŸan.
Ogni volta, infatti, che in Occidente qualcuno rimprovera ErdoÄŸan per il suo filoislamismo conservatore, o per il suo passato, o che sostiene apertamente i militari turchi, “qualcuno” ne dà notizia sulla stampa turca e la cosa oggettivamente irrobustisce l’ala che considera gli occidentali brutti, cattivi e traditori. Mentre l’opzione di ErdoÄŸan, un ex fondamentalista divenuto conservatore, ha consentito e consente oggi alla domanda turca di conservatorismo anche religioso di orientarsi al centro.
Dicono, infine, gli esperti di quel mondo che la Turchia è del resto anche un luogo, fin dal Seicento, di barbe finte e di servizi segreti di ogni genere, e che certo non è da escludere che possano essere gli stessi militari a rafforzare gli estremisti per poi colpire l’intero islamo-conservatore di ErdoÄŸan. Nel passato ci sono già del resto stati attentati “fondamentalisti” in realtà organizzati dai militari, laicisti.