
Un sud che innova ma non trattiene i giovani

04 Agosto 2025
di Ilaria Rizzo
Secondo l’ultimo bilancio demografico pubblicato dall’Istat, nei primi cinque mesi del 2025 la popolazione residente in Italia è scesa sotto i 59 milioni. Un dato che conferma una tendenza nota, ma ancora allarmante: il Paese continua a perdere abitanti, soprattutto a causa del calo delle nascite. Tra gennaio e maggio i nuovi nati sono stati appena 138 mila, un ulteriore passo indietro rispetto allo stesso periodo del 2024.
È il Mezzogiorno, in particolare, a mostrare i segnali più critici. Nei prossimi decenni si prevede un forte spopolamento, soprattutto se si guarda allo scenario centrale tracciato dall’Istat: il Sud rischia di perdere oltre tre milioni di residenti entro il 2050, e quasi otto milioni entro il 2080. Anche nelle ipotesi più ottimistiche, non si intravedono segnali di ripresa demografica.
Nel frattempo, anche il volto delle famiglie cambia profondamente. Le famiglie con figli, che oggi rappresentano circa un terzo del totale nel Sud, scenderanno sotto il 25% entro il 2050. Cresceranno invece le coppie senza figli e le persone sole. Si restringe anche la dimensione media dei nuclei familiari. Una trasformazione che mette in crisi le tradizionali reti di solidarietà e rende più fragile il tessuto sociale, soprattutto nei piccoli centri e nelle aree interne.
A tutto questo si aggiunge il fenomeno dell’emigrazione giovanile. Negli ultimi dieci anni, oltre mezzo milione di giovani ha lasciato il Sud, spesso portando via con sé competenze elevate e titoli di studio. Solo nel 2023, decine di migliaia di ragazzi tra i 15 e i 34 anni si sono trasferiti al Nord. A Napoli, che ospita una delle università più grandi d’Italia, si stima che entro il 2035 potrebbero andarsene circa 150 mila giovani. L’Università Federico II forma una quota significativa degli ingegneri italiani, ma questo non basta a trattenerli.
Tuttavia, a fronte di questo scenario, non mancano segnali incoraggianti sul fronte economico. Come rileva Nicola Saldutti nel suo articolo sul Corriere della Sera, dopo la pandemia il Sud ha mostrato un’inattesa vitalità. Tra il 2019 e il 2023, il PIL è cresciuto più della media nazionale, trainato da regioni come Puglia e Campania. Le esportazioni sono in aumento e città come Napoli e Bari si distinguono per la crescita nei settori manifatturiero e digitale. Un ruolo chiave lo ha avuto il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che ha portato investimenti concreti e tempi di attuazione più rapidi grazie a una burocrazia più efficiente.
Cresce anche il numero di imprese dinamiche. Catania consolida il proprio ruolo nei settori dei semiconduttori e del fotovoltaico, mentre Napoli e Bari si affermano come nuovi poli dell’innovazione digitale. Il tessuto produttivo meridionale, spesso sottovalutato, dimostra di saper attrarre capitali e creare occupazione. Le produzioni artigianali e la manifattura leggera continuano a posizionarsi bene all’estero, mentre comparti come aerospazio, agroalimentare e diagnostica stanno contribuendo a diversificare l’economia.
In particolare, i servizi digitali stanno dando segnali molto positivi: negli ultimi tre anni, l’occupazione nell’ICT è cresciuta del 31%, con circa 33 mila nuovi posti di lavoro. Anche il mondo dell’innovazione dà segni di risveglio: la Campania, nel primo trimestre 2025, conta oltre 1.500 start-up innovative, con Napoli in testa tra le città italiane. E cresce anche l’attenzione delle grandi aziende, che iniziano ad aprire sedi operative e centri di ricerca nel Sud.
Un altro potenziale punto di forza è rappresentato dalla transizione energetica. Progetti come il Tyrrhenian Link, che collegherà Sardegna, Sicilia e Campania, rafforzeranno la rete per la distribuzione dell’energia rinnovabile. Grazie a clima e spazi favorevoli, il Mezzogiorno è oggi l’area con il maggiore potenziale per lo sviluppo del fotovoltaico in Italia.
Il quadro che emerge è quindi duplice: da un lato, un Sud che si svuota, invecchia e si frammenta; dall’altro, un’economia che finalmente riparte, trainata dall’innovazione, dalla digitalizzazione e dagli investimenti pubblici. Ma questa ripresa economica, per quanto significativa, non si traduce ancora in attrattività demografica.
Ed è proprio qui che si gioca la partita decisiva: come trasformare la crescita economica in una leva per contrastare il declino della popolazione? Una risposta possibile è puntare sul capitale umano: formare giovani con competenze avanzate, soprattutto nel digitale, e valorizzarli sul territorio. L’intelligenza artificiale, ad esempio, può diventare una risorsa strategica per migliorare la produttività e creare nuovi modelli di impresa, più leggeri e sostenibili, capaci di compensare il calo della forza lavoro.
Ma serve anche un cambio di mentalità. Occorre incentivare i giovani a restare, costruire carriere nel proprio territorio, scegliere di mettere su famiglia. Il welfare aziendale può dare un contributo importante in questa direzione: misure come bonus alla genitorialità, servizi per l’infanzia, soluzioni abitative accessibili e sanità integrativa possono aiutare a invertire la rotta. Non si tratta solo di costi, ma di investimenti strategici per rendere il Sud più competitivo e vivibile.
Su questi temi si concentra l’attività dell’Osservatorio sulla Crisi Demografica della Fondazione Magna Carta, nato in collaborazione con WellMakers by BNP Paribas, Jointly e Acea. L’obiettivo è ripensare il welfare come infrastruttura sociale per la competitività territoriale.
Infine, è necessario un maggiore radicamento delle decisioni nel Sud. Molte imprese che operano nel Mezzogiorno mantengono ancora i centri direzionali al Nord, perpetuando uno squilibrio nei luoghi in cui si decide e si innova. La sfida non è solo trattenere i talenti, ma permettere loro di dirigere e trasformare l’economia locale.
Manifattura e turismo non sono alternative, ma alleati. Un Sud che sa produrre, innovare e accogliere può diventare un luogo dove valga davvero la pena restare. Ma per arrivarci, serve un cambio di prospettiva: non basta crescere, bisogna riequilibrare, mettendo al centro la demografia, il lavoro e la qualità della vita.