100 anni dalla Grande Guerra: ieri come oggi mondialisti contro nazionalisti

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100 anni dalla Grande Guerra: ieri come oggi mondialisti contro nazionalisti

100 anni dalla Grande Guerra: ieri come oggi mondialisti contro nazionalisti

12 Novembre 2018

Non è stata l’auspicabile e avvenuta sconfitta del “wilsonismo”, la causa del verificarsi della seconda Guerra mondiale, come taluni sottendono, soprattutto in questi giorni, i quali culmineranno oggi, a Parigi. Un maxi vertice, infatti, si terrà oggi nella capitale francese, dove 60 leader mondiali si riuniranno per celebrare i cent’anni dalla fine della Prima guerra mondiale. Un’occasione che nel 2018 individua una dicotomia analoga a quella di un secolo fa, riportando le contrapposizioni tra il presidente francese Macron e quello americano Trump, su aspetti analoghi che videro dividere l’allora presidente americano Woodrow Wilson da una parte dell’establishment europeo.

Proprio durante la conferenza di pace di Parigi, il presidente Usa lanciò i suoi «14 punti» per un nuovo ordine mondiale fondato sulla Società delle Nazioni. Il suo piano, però, a dire il vero, fu fatto arenare in patria dall’isolazionismo incarnato da Henry Cabot Lodge, i cui slogan richiamano quelli trumpiani di oggi: «Prima gli Stati Uniti», «l’internazionalismo è repellente», «no all’immigrazione», come recitava il diplomatico e politico statunitense. Ma se la ricerca della pace nel 1919 poi fallì e dopo vent’anni fu di nuovo guerra, non è perché non si affermò, fortunatamente, il mondialismo di Wilson, astratto ed inconcludente su quel piano dei principî legati ad un indifferentismo gloabalizzato.

Anzi, alla radice della seconda guerra mondiale ci fu proprio quella debolezza delle varie istituzioni nazionali (in primis la neonata Repubblica di Weimar e l’insoddisfazione seguita agli esiti del primo conflitto totale), che generò il confronto armato nella fine degli anni Trenta. Così come non sarà la débâcle degli internazionalisti alla Macron – versus i nazionalisti alla Trump – il fomite dei prossimi ed inevitabili dissidi internazionali. Al contrario, se proprio si volesse cogliere un nesso tra l’ieri e l’oggi, si dovrebbe guardare a quel dramma della prima metà nel Novecento, costituito dall’immediato post Prima guerra mondiale e che oggi si ripropone col mettere sul tavolo un ipotetico esercito europeo, con l’intento di marginalizzare gli Usa, come ha fatto incautamente Macron, causando una risposta infastidita di Trump prima di atterrare ieri allo Charles de Gaulle. Già, poiché ciò che si deve trarre dai fatti del secolo scorso, è che fu, tra l’altro, anche per l’assenza degli Usa, che la Società delle Nazioni si rivelò uno strumento del tutto incapace di frenare l’imperialismo tedesco, italiano e giapponese, tanto da indurre da una parte i realisti-nazionalisti a riaffermare la fatuità della governance globale e, dunque, la necessità di Stati-nazione forti, e, da un’altra, gli internazionalisti a propendere per l’assenza americana quale prodromo per l’anarchia e il ritorno alla guerra, come scritto prima.

Dopo il secondo conflitto mondiale l’America ha infine scelto il compromesso di un wilsonismo temperato, partecipando all’Onu e ospitandone perfino la sede, ma senza rinunciare minimamente all’autonomia del suo hard power, con la creazione fondamentale e determinante della Nato, l’autentica entità, guidata dagli Usa, che ha scongiurato l’avvento di nuove guerre. Con Trump si è tornati ad un isolazionismo più marcato, e, considerando il globalismo solo di facciata di Russia e Cina, il rischio di un revanscismo neo-wilsionano in salsa macroniana dovrebbe, ci si augura, rimanere fuori dallo scenario planetario.