1700 arresti in Turchia. Erdogan: “Twitter è una minaccia”
02 Giugno 2013
di redazione
I manifestanti turchi tornano in piazza Taksim per una nuova giornata di protesta, la terza. In totale, secondo il ministero dell’interno, fino a questo momento in Turchia ci sono stati 1.700 arresti anche se molti dei manifestanti sono stati rilasciati. Erdogan rifiuta di essere dipinto come un "dittatore" ("sono senza parole"), se la prende con Twitter e i social network colpevoli di aver fatto montare la protesta ("oggi abbiamo una minaccia e si chiama Twitter). Attacca la sinistra accusandola di aver manipolato in qualche modo quella che era partita come una manifestazione ambientalista e si è trasformata in uno dei più grandi episodi di ribellione contro "l’autoritarismo" dei neo-islamici al potere Ankara da molti anni a questa parte. In Turchia, i ribelli accusano i media di aver ridimensionato la portata della protesta. Durante la repressione ordinata da Erdogan, che ieri si era scusato per le azioni "estreme" della Polizia, Amnesty denuncia almeno 5 persone in pericolo di vita, anche se sembra rientrare la notizia diffusa nelle ore scorse su 2 vittime tra i manifestanti. In compenso, sono centinaia i feriti. Tutto è nato della decisione del governo di costruire un centro commerciale su uno dei parchi centrali di Istanbul. Ambientalisti, socialisti, gruppo per i diritti dei gay, altre minoranze, hanno colto l’occasione per protestare contro Erdogan e il suo Governo, accusato di impedire manifestazioni democratiche nelle piazze com’è avvenuto il Primo Maggio scorso. Non tutti i manifestanti però sembrano d’accordo su come sono andate a finire le cose, molti si oppongono alle violenze e ai vandalismi, "Doveva essere una protesta pubblica ma quello che è successo non riflette i nostri obiettivi iniziali", dicono.