5/ Le prime vittime dell’attentato sono i Democratici americani

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5/ Le prime vittime dell’attentato sono i Democratici americani

5/ Le prime vittime dell’attentato sono i Democratici americani

11 Settembre 2007

“Ah, se la
sinistra italiana fosse come quella americana…”. Quante volte avete sentito
pronunciare una frase simile, negli ambienti vicini al centrodestra nostrano? La
sensazione diffusa tra chi è immune al virus dell’anti-americanismo, infatti, è
che in una nazione come quella statunitense, mai sfiorata dall’ideologia e
dalla prassi comunista, la sinistra sia più digeribile di quella costruita,
decennio dopo decennio, dagli orfani di Stalin e Togliatti. Una sinistra meno
reazionaria e meno legata a pregiudizi anti-liberali ed anti-capitalistici. Una sinistra quasi normale, insomma. Forse è arrivato
il momento di affermare che questa teoria – anche se suggestiva, non priva di
qualche brandello di verità e, di questi tempi, perfino confortante – è stata falsificata
dai fatti. E i fatti sono sostanzialmente due: il recount in Florida nelle
elezioni presidenziali del 2000 e gli attacchi terroristici dell’11 settembre
2001.

“I liberal,
negli Stati Uniti, hanno una particolare predisposizione ad assumere il ruolo dei
traditori. Potresti anche organizzare una partita di Scarabeo che troverebbero
subito il modo di mostrare una posizione antiamericana. (…) Ogni volta che il
Paese è sotto attacco, dall’interno o dall’esterno, loro si schierano con il
nemico”. Senza arrivare agli eccessi – più formali che sostanziali, per la
verità – di Ann Coulter nel suo “Treason”, è praticamente impossibile, per un
osservatore anche occasionale delle dinamiche politiche statunitensi, non
accorgersi della deriva estremistica di cui si è resa protagonista la sinistra
americana negli ultimi anni.

Per un’analisi
approfondita di questo fenomeno, consigliamo la lettura di uno splendido saggio
(naturalmente mai arrivato in Italia), scritto un paio d’anni fa dal
corrispondente dalla Casa Bianca della National Review, Byron York. Il titolo,
“The Vast Left Wing Conspiracy”, fa il verso al j’accuse pronunciato in diretta televisiva da Hillary Rodham
Clinton contro la “cospirazione” della destra a stelle e strisce che si
ostinava a pretendere che un presidente in carica (nella fattispecie il marito
di Hillary) smettesse di raccontare menzogne al suo popolo. Ma è sicuramente il
sottotitolo del libro a rendere esplicita l’anima profonda del lavoro di York:
“La storia mai raccontata di come un gruppo di politici democratici, miliardari
eccentrici, attivisti liberal e celebrità assortite hanno cercato di abbattere
un presidente. E perché, la prossima volta, ci proveranno ancora”.

Il libro di York,
frutto di uno straordinario lavoro giornalistico lontano anni-luce dalla
pubblicistica ideologizzata e spesso parafantascientifica (con tante scuse agli
autori della fantascienza vera) che
affligge gli scaffali delle nostre librerie, ricostruisce questo rapido
processo di incancrenimento della sinistra americana: l’esplosione di MoveOn su
Internet e la sua influenza crescente nella vita del partito democratico;
l’incredibile quantità di denaro spesa da George Soros per sconfiggere George
W. Bush alle presidenziali del 2004; i finti-documentari di Michael Moore e dei
suoi sempre più numerosi adepti; i tentativi liberal di contrastare lo strapotere conservatore (decretato dal
pubblico) nel mondo della comunicazione radiofonica; la guerriglia mediatica
senza scrupoli scatenata dai think-tank legati
alla sinistra; il successo sempre meno underground
delle teorie cospiratorie e in particolare di quelle che contestano la
“versione ufficiale” su 9%2F11.

Il primo shock
che ha messo in moto questo bizzarro miscuglio alchemico di politici senza
scrupoli, cyber-attivisti, miliardari annoiati e star hollywoodiane, portandolo
ad impossessarsi di fatto del partito che fu di Woodrow Wilson, Harry Truman e John
Fitzgerald Kennedy, è stato senza dubbio il trauma delle presidenziali del 2000
e dell’infuocato recount in Florida.
Persa quella tornata elettorale, malgrado le condizioni ideali per una
riconferma alla Casa Bianca, il partito democratico è letteralmente imploso,
avvinghiandosi ad una spirale auto-distruttiva di paranoia e recriminazione.

Ma è stato dopo
l’11 settembre 2001 che questa mutazione, ormai probabilmente strutturale, ha
raggiunto la maturazione completa. Dopo qualche settimana di patriottismo
forzato, infatti, i dirigenti del partito, le élite culturali che lo sostengono
e una base consistente del suo stesso elettorato di riferimento hanno imboccato
la strada, senza via d’uscita, che porta al negazionismo. Gli aggressori si sono
trasformati magicamente in vittime, le cause in effetti, i buoni in cattivi. A
parte qualche isolata eccezione – come Zell Miller e Joe Lieberman – il partito
democratico, le sue maggiori organizzazioni di riferimento e i mainstream media amici hanno organizzato
la più gigantesca opera di mistificazione mai partorita nella storia recente
dell’umanità. Obiettivi, naturalmente, il presidente Bush e il partito
repubblicano. Ma sullo sfondo di tutto si staglia, imponente come le Twin
Towers prima del crollo, una interpretazione totalmente sganciata dalla realtà
dei tragici avvenimenti dell’11 settembre.

Sbaglia,
infatti, chi ritiene che la causa principale di questa degenerazione sia da
ricercare nelle controversie politiche nate prima e durante il conflitto in
Iraq, perché questa colossale operazione politico-mediatica era partita già durante
le operazioni militari in Afghanistan contro il regime dei Talebani. “Odio
Bush, disprezzo lui e tutta la sua amministrazione”, dichiarava alla stampa in
quei giorni l’attrice Jessica Lange, anticipando appena di qualche settimana quella
che sarebbe diventata la linea ufficiale degli attivisti democratici su
Internet. E sbaglia anche chi ritiene che posizioni di questo tipo siano
cavalcate soltanto da una chiassosa minoranza di fanatici, magari ben
organizzati sul web. Il famigerato sito Daily Kos, per esempio, uno degli
epicentri di questo terremoto neo-estremista, tiene praticamente in ostaggio i
candidati democratici alle presidenziali del 2008, tanto che Hillary Rodham
Clinton e Barack Obama sono stati costretti, di recente, a partecipare alla convention
annuale YearlyKos per evitare il linciaggio della blogosfera. Nel dicembre del
2004, in una sconcertante email spedita ai propri sostenitori e ripresa da
Associated Press, i fondatori del sito MoveOn.org hanno rivendicato il
“possesso” del partito democratico. Visto che il sito è nato grazie ai
finanziamenti multimiliardari di George Soros, secondo la proprietà transitiva
si potrebbe affermare che Soros è il proprietario del partito democratico. E
un’affermazione del genere non sarebbe poi così distante dalla realtà.

DailyKos,
MoveOn, George Soros, MTV, Michael Moore, Ted Rall, Maureen Dowd, Al Gore,
Jimmy Carter, Al Franken, Whoopi Goldberg, Barbra Streisand, Ward Churchill,
Cindy Sheehan, Ted Kennedy, Dixie Chicks, Billy Maher, Keith Olberman, Noam
Chomsky, Oliver Stone, Sean Penn, Howard Dean, Dan Rather, Harry Raid. Questo
male assortito cocktail di attori, cantanti, politici, ex politici, miliardari,
giornalisti, professori e attivisti monopolizza ormai qualsiasi barlume di
attività cerebrale della sinistra americana, fuori e dentro il partito
democratico. E l’unica cosa che riesce ad unire questa eterogenea line-up, oltre all’odio nei confronti
del presidente Bush, è proprio la convinzione che gli Stati Uniti abbiano
imboccato la strada dell’autoritarismo (molti di loro non si fanno troppi
scrupoli ad utilizzare addirittura il termine “fascismo”) dopo gli attacchi
terroristici a New York e Washington.

La colpa
dell’America è quella di aver provocato gli attacchi. La colpa di Bush è quella
di aver reagito agli attacchi. La colpa del GOP è quella di aver sostenuto
questa reazione. E’ come se in quell’assolato e terribile martedì mattina di
sei anni fa, nei cuori e nelle menti della sinistra americana sia scattato un
cortocircuito in grado di annullare decenni di politica estera e dottrina
strategica, facendo precipitare il mondo liberal
e progressive in un gorgo
disperato di estremismo dal quale non sarà certo Hillary (Giuliani o Thompson
permettendo) a salvarlo.