6/ Sei anni dopo molto è cambiato: in peggio

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6/ Sei anni dopo molto è cambiato: in peggio

12 Settembre 2007

Sei anni dopo la strage che ha colpito gli Stati Uniti
in modo barbaro, un attacco di guerra a tradimento contro civili in tempo di
pace, quel ricordo è non solo sbiadito, ma profondamente inquinato. E’ una
constatazione dolorosa, perché da vicende terribili la storia e gli uomini
dovrebbero trarre insegnamento, e così non è stato. Per me ogni anno l’11
Settembre è prima di tutto una giornata che non si può dimenticare, che si
fosse davanti a un televisore, come inusitatamente decise di fare quella
mattina Oriana Fallaci, dopo una notte più insonne delle altre; che si fosse
subito per la strada a Manhattan, correndo fino a stroncarsi le gambe verso il
fumo e l’orrore mai immaginati. Anche in Italia e nel resto d’Europa
l’impressione e lo sgomento dominarono per qualche giorno, il tempo di
riprendere alacremente lo sport nazionale e continentale del “blame
America first”, è sempre colpa dell’America. Così hanno preso spazio e
dignità anno dopo anno le teorie del complotto, e i “complottisti”,
persone del calibro di Giulietto Chiesa, di Vauro, di Franco Cardini, di Lidia
Ravera, vengono invitati nei salotti televisivi senza vergogna, non loro, che
non la conoscono, ma dell’autorevole conduttore, e senza vergogna le loro tesi sono
messe sullo stesso piano della credibilità di un grande governo democratico e
dell’intelligenza di tutti noi. Così i titoli dei giornali e i servizi delle
televisioni, anno dopo anno, invece del ricordo e dell’omaggio alle vittime al
grande Paese colpito, ci ammaniscono solo titoli critici sull’Iraq, ci
raccontano di un Paese spezzato e litigioso che dovrebbe assomigliare al
nostro, ma non è vero. L’America non è come malamente la raccontano, gli
americani litigano magari furibondamente per una guerra che vorrebbero vinta
visto che sono gli unici a rimetterci la pelle, ma la loro idea di nazione
unita sotto la protezione di Dio è intoccabile. Negli Stati Uniti la gente desidera
andare a vivere come cento anni fa, tanto che il censimento del 2001 rivelava
una crescita di 30 milioni di abitanti, dovuta in gran parte all’immigrazione, il
doppio delle  proiezioni. Se il melting
pot fosse un fallimento, assisteremmo a esodi di massa dagli Stati Uniti verso l’Albania,
il Nicaragua o la Polonia. Non
è così, ma questo non placa l’ossessione antiamericana.

Naturalmente contano anche i governi e la loro buona o
malafede. Quello di Silvio Berlusconi ha resistito dignitosamente e ha
sostenuto la dovuta guerra ai talebani in Afghanistan, e l’altra guerra,
anch’essa da tempo dovuta, per liberare l’Iraq da Saddam Hussein. Solo che lo
ha fatto, o dovuto fare, con la consueta esaltazione retorica della pace,
perché da noi il coraggio di dire a voce alta che nel corso della storia ci
vogliono sempre delle guerre per strappare un periodo di pace, non ce l’ha mai
nessuno. Siamo brava gente. Naturalmente questo governo, Romano Prodi, Massimo
D’Alema, Giuliano Amato e Paolo Ferrero alla testa della truppa, ha peggiorato
la situazione e deteriorato i rapporti con gli Stati Uniti, e con Israele, in
una forsennata politica filoaraba, che vent’anni fa, quando fu condotta con
maggiore equilibrio, poteva salvarci dagli attentati, oggi è stolta, inutile,
inspiegabile. Non si comporta così il socialista Josè Luis Zapatero, che ha
messo fuori dal Paese settecentocinquantamila musulmani entrati
clandestinamente in Spagna, molti dei quali per delinquere e tramare. Sono già
chiare le scelte del neo presidente Sarkozy, che nel giorno del suo
insediamento per prima cosa ha detto che “solo la Francia esercita il
diritto sovrano di scegliere chi abbia diritto a risiedere nel Paese”. Per
l’Inghilterra forse è troppo tardi, perché il sogno multietnico non è stato
costruito sull’adesione e il rispetto di poche regole chiare ma severe. Ma
tutti stanno provando a riparare almeno in parte agli errori del passato,
tranne l’Italia.

Questa mattina è arrivata una telefonata che voleva
essere consolatoria, da un’amica di Ginevra, da tanti anni vive lì nascosta: è la
storica e scrittrice che aveva fulminato con le sue intuizioni l’ultima
Fallaci. E’ Bat Ye or, l’autrice di Eurabia, definizione straordinaria, che lei
, in semplicità, spiega così: l’avidità e l’ansia di consenso finiranno col
distruggerci. Bat Ye’or la chiama “dhimmitude”, da
“dhimmi”, come venivano definiti i cristiani e gli ebrei che dal
settimo secolo sono stati obbligati alla regola musulmana, al tributo, e che
oggi continuano a praticarla: per essere tollerati  bisogna essere riconoscenti, degli infedeli
sottomessi. E’ stata di sottomissione anche la politica filo araba dell’Europa
negli ultimi trent’anni, l’era del petrolio, dei sensi di colpa per l’epoca
coloniale, della follia antinucleare. Ora che in Francia, in Germania, in
Svezia, tra poco anche in Italia, il controllo sulla  politica migratoria è perso, i politici si
ostinano a non ammetterlo.

Che fornisca una interpretazione storica così rigorosa
spiega ma non aiuta. Dice ancora Bat Ye’or:” Questo stato di dhimmitudine
occulta, che ha le sue radici nella jihad millenaria, è però deliberatamente
negato o non riconosciuto dagli attuali governanti europei. L’Europa preferisce
ignorare la costituzione di una rete terroristica e finanziaria sul proprio
territorio. Spera di poter comprare la propria sicurezza mediante aiuti per lo
sviluppo, elargiti a governi che mai hanno ricusato la demonizzazione
dell’Occidente radicata nella cultura della jihad». Uno dei massimi servigi
resi dall’Europa  «consiste nella
delegittimazione dello Stato di Israele”. Accusa di dhimmitudine» anche i
mezzi di comunicazione europei: “Assolvono il terrorismo palestinese e
islamico, lasciando credere ai lettori che la colpa sia degli Stati Uniti
e  di Israele”.

Siamo d’accordo: l’occultamento da parte europea
dell’ideologia e della vera storia della jihad è rimpiazzato con scuse e
rimorsi, con l’autoflagellazione per le crociate e le disparità di sviluppo tra
Nord e Sud, infine con la criminalizzazione di Israele. Il male viene
attribuito agli ebrei e ai cristiani per non urtare la suscettibilità del mondo
musulmano, che rifiuta ogni critica al suo passato di conquiste e di
colonizzazioni. “Questo genere di rapporto diseguale è proprio del sistema
della dhimmitudine, il quale prevedeva la pena di morte per il dhimmi che osava
criticare l’Islam e il governo islamico. I notabili dhimmi venivano perciò
incaricati dall’autorità islamica di imporre l’autocensura ai loro
correligionari. L’antico universo, condizionato dall’insicurezza, dall’umiltà e
dal servilismo, come pegni di sopravvivenza, è stato così ricostituito
nell’Europa contemporanea”. Siamo d’accordo e non siamo contente.