Un nuovo corso per la guerra in Iraq

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Un nuovo corso per la guerra in Iraq

10 Gennaio 2007

Il presidente rassicura la sua nazione dicendo che l’esercito americano sta combattendo in Iraq per la democrazia di quel paese e per la sicurezza interna agli Stati Uniti.  Poi ricorda a tutti che un anno fa gli iracheni avevano votato loro stessi per la democrazia, un evento che viene definito sensazionale dallo stesso Bush.  A causa di quell’episodio, egli spiega, il suo governo aveva ritenuto possibile la vittoria su al-Quaeda senza un massiccio dispiego di truppe.  Gli insorti sunniti e gli uomini di Bin Laden hanno però capito la fatale minaccia che quelle elezioni portavano con sé: l’inizio della normalità.  La Moschea D’oro di Samarra, uno dei tempi più cari agli sciiti venne distrutta proprio per provocare la reazione di questi ultimi, la quale poi ha portato a sua volta alla attuale situazione di guerra civile.

A questo punto il presidente pronuncia parole molto importanti: “i nostri soldati hanno combattuto coraggiosamente”, “la responsabilità per ciò che sta accadendo è mia”.   Bush ammette di dover cambiare strategia in Iraq e che una sconfitta degli Stati Uniti sarebbe un disastro.  Ecco perché anche il rapporto Baker è stato preso in considerazione nel delineare il nuovo approccio a questa guerra, soprattutto dove si parla della non esistenza di una formula magica che possa risolvere il conflitto.   Oltre alla commissione Baker, però, George W. Bush ha anche ascoltato i consigli del suo team di sicurezza nazionale, dei comandanti dell’esercito e dei diplomatici.  Per quanto riguarda l’eventuale disastro in caso di sconfitta dell’esercito americano, gli Usa temono la presa del potere da parte del radicalismo islamico che avrebbe vita facile nello spalleggiare le ambizioni nucleari iraniane:  due paesi guidati da leader religiosi ed estremisti in combutta contro gli Stati Uniti, sarebbero troppo pericolosi da sopportare.  A questo punto anche la gente ed il governo iracheni sono chiamati in causa: essi hanno il dovere di porre fine alla violenza tra sunniti e sciiti che sta dividendo la capitale e di predisporre un piano a tal fine.

Le due principali ragioni per le quali la precedente strategia per il controllo di Baghdad non ha funzionato sono queste:  Non c’erano soldati americani ed iracheni a sufficienza per pattugliare le strade ed i quartieri e c’erano troppe restrizioni nel modo di usare questi soldati.  La nuova strategia è stata pensata proprio per evitare che tali situazioni possano verificarsi di nuovo. 

Scendendo nel dettaglio di questa strategia si evince che il governo iracheno nominerà un comandante in capo dell’esercito e due vice comandanti.  L’esercito iracheno e la Polizia Nazionale saranno schierati in tutti i nove quartieri di Baghdad.  A questo punto ci saranno diciotto brigate a controllare la capitale le quali saranno impiegate a pattugliare la zona, istituire posti di controllo e scandagliare la città porta a porta al fine di  guadagnarsi la fiducia dei cittadini.

Il presidente Bush ammette che si tratta di un forte impegno ed di un difficile obbiettivo ed i suoi comandanti gli hanno suggerito che, si vuole raggiungere questo scopo, si deve anche essere pronti ad aiutare gli iracheni, per farlo però serviranno più truppe:  si parla di cinque brigate, quindi più di ventimila uomini, la maggioranza dei quali sarà impegnata nella capitale.  La missione dei soldati americani sarà comunque ben definita, essi dovranno proteggere la popolazione, fare in modo di aiutare i soldati iracheni a ripulire il quartiere e mettere in grado questi ultimi di provvedere alla sicurezza “di cui Baghdad ha bisogno”. 

Le ragioni della precedente sconfitta devono cercarsi nella scarsità di soldati che prima “ripulivano” un quartiere per poi vederlo piegarsi di nuovo alla violenza degli insorti  poco dopo, mentre loro erano impegnati ormai altrove.  Inoltre, in precedenza, esistevano delle aree off-limits per i soldati americani ed iracheni per via di ingerenze politiche e di parte.  Questa volta perfino il Premier iracheno al-Maliki ha ribadito che questo tipo di “interferenze” non verranno tollerate.  Bush ha più volte ribadito a sua volta che l’impegno americano non sarà per sempre ma dipenderà dalla volontà del governo iracheno di farsi aiutare. 

Chiaramente la nuova strategia non potrà porre fine alla violenza in un sol colpo, serviranno perseveranza e oculatezza perché il nemico vuole “riempire i nostri schermi con immagini di morte e sofferenza”, come nelle parole del presidente degli Stati Uniti d’America.  Passato un po’ di tempo, però, sarà lecito aspettarsi un miglioramento generale delle condizioni di vita in un paese in cui sunniti e sciiti vogliono convivere pacificamente.  Ecco spiegato il perché, secondo Bush, la strategia vincente per l’Iraq non passa soltanto per le armi. Egli ritiene fondamentale il continuo e graduale avanzare verso la normalità. 

Seguono delle decisioni prese d’accordo con il governo iracheno che ci paiono molto sensate: per fare in modo di aumentare la sua autorità il governo di al-Maliki provvederà a ritenersi responsabile per la sicurezza di tutte le provincie irachene entro Novembre.  Per rendere partecipi gli iracheni dell’economia, verrà varata una legge che prevederà la divisione dei ricavati dalla vendita del petrolio a tutti i cittadini.  Inoltre il governo dovrà spendere almeno dieci miliardi di dollari nella ricostruzione delle infrastrutture del paese, cosa  che porterà a sua volta nuovi impieghi per la popolazione.

Come promesso, poi, anche il rapporto Baker sarà preso in considerazione: il numero dei consiglieri americani nell’esercito iracheno verrà aumentato, così come verrà accorpata una brigata della coalizione ad ogni divisione dello stesso.  “Aiuteremo gli iracheni nella costruzione di un esercito più grande e meglio equipaggiato, addestreremo truppe irachene più velocemente, cosa che comunque rimane parte essenziale della nostra missione in Iraq”.   Il segretario di Stato Usa, Condooleeza Rice, si occuperà presto di nominare un coordinatore della ricostruzione a Baghdad per fare in modo di ottenere i migliori risultati possibili dai fondi stanziati per il paese.

Il presidente Bush si preoccupa poi di rendere chiaro che, mentre il tutto verrà messo in opera, al-Quaeda, la cui base operativa risiede nella provincia di al-Anbar, rimarrà l’obbiettivo essenziale delle truppe americane.  In quella provincia, dall’inizio del conflitto una delle più pericolose, gli americani stanno già catturando leader degli insorti e uomini facenti capo all’organizzazione terroristica di Bin Laden.  Allo stato attuale delle cose, i comandanti americani sono convinti di poter sferrare un serio colpo alle fondamenta di tale organizzazione e per questo un nuovo contingente di circa 4.000 soldati verrà inviato sul posto.  “Visto che gli uomini e le donne americane hanno già provveduto a spazzare via il nascondiglio di al-Quaeda in Afghanistan, non permetteremo che questo sia ricostituito in Iraq”.

Un’altra parte cruciale del discorso che Bush ha pronunciato ieri sera alle nove ora locale (le due di notte qui da noi) riguarda due paesi limitrofi all’Iraq: la Siria e l’Iran che stanno partecipando a questa guerra al fianco dei terroristi, contribuendo alla loro causa tramite l’invio di materiale bellico la messa a disposizione di campi d’addestramento e che inoltre non provvedono al controllo dei confini e anzi fanno in modo che gruppi di uomini armati si introducano in Iraq  per assaltare ed uccidere.  La nuova strategia mira a porre fine a questo stato di cose, tramite la distruzione di quei network del terrore che operano in Siria e in Iran.

La protezione degli interessi statunitensi nel Medio Oriente passa anche per altre vie.  Il nuovo piano prevede la presenza di un ulteriore portaerei nei pressi della costa irachena, l’espansione dello scambio di informazioni tra i servizi segreti e lo schieramento di sistemi di difesa Patriot per il lancio di missili.  Il governo della Turchia e quello iracheno saranno aiutati nell’intento di controllare i loro confini, inoltre, si lavorerà a tutto tondo in modo da impedire all’Iran di conseguire testate nucleari.  Quest’ultimo obbiettivo sarà conseguito senza risparmiare nessuna delle armi diplomatiche in mano agli Usa in modo da convincere le nazioni mediorientali come l’Arabia Saudita, l’Egitto, la Giordania e gli Stati del Golfo che una sconfitta militare americana in Iraq sarebbe l’inizio della fine per loro stessi. La Rice ha già la valigia pronta e partirà per il Medio Oriente il prossimo venerdì, al fine di organizzare una serie di riunioni con rappresentati governativi dei vari paesi. 

Il Presidente ricorda alla nazione che nel momento in cui si parla della guerra in Iraq non si sta solo facendo riferimento ad un conflitto armato.  La diatriba riguarda due modi opposti di vivere, uno che mira a salvaguardare i diritti fondamentali degli individui e la libertà di ognuno, l’altro che ha dichiarato di voler distruggere il modo di vivere occidentale.  E’ la decisiva battaglia ideologica del nostro tempo: da una parte i moderati, dall’altra estremisti uccisori di innocenti.  La speranza americana risiede nella possibilità di creare una alternativa all’ideologia impregnata d’odio del nemico e per farlo occorre portare la libertà in una regione travagliata.

Bush appare fermamente convinto sulla riuscita futura della nuova strategia, al punto da potersi permettere di predire nuove morti nelle fila dell’esercito americano.  Ciò che conta sarà la vittoria finale.  Il nuovo approccio ha preso vita da continue consultazioni con il Congresso il quale inizialmente aveva proposto di cominciare a ritirare gradualmente le truppe.  Tale consiglio non è però stato accettato dall’entourage del presidente, che ha invece optato per un aumento di tali truppe in un momento critico.  In caso contrario si sarebbe andati incontro ad una ritirata catastrofica che avrebbe tra l’altro significato la vittoria dei terroristi su uno dei più grandi stati democratici del mondo, anzi sull’intera “coalizione degli intenti”.

Sono ancora possibili cambiamenti a tale programma e nei prossimi giorni il Congresso avrà un gran da fare a dibattere la questione.  A breve un nuovo gruppo bipartisan sarà formato con l’intento di riunire differenti aree del parlamento su di un tema così importante come quello della guerra.  Il gruppo si incontrerà regolarmente con il presidente e con la sua amministrazione e rafforzerà il legame con il Congresso.  Il presidente si augura di poter trovare giovani talenti nel campo delle relazioni internazionali da poter impiegare per la costruzione di un futuro migliore.  Alla fine le sue parole sono però rivolte ai soldati americani che danno la vita per un ideale di pace e democrazia e che vengono per questo definiti altruisti e nobili d’animo.  Questi giovani hanno capito l’importanza che la storia ha assegnato loro e lo stanno dimostrando.  Il richiamo alla storia della nazione pone fine al lungo discorso, e sottolinea come l’America abbia sempre prevalso nei confronti dei pessimisti, ma l’anno che verrà richiederà più pazienza, sacrificio e fermezza.