L’insormontabile muraglia cinese di Karl Kraus
27 Aprile 2008
di Vito Punzi
Quella
di Karl Kraus era una potenza di visione apocalittica che aveva pochi pari in
Europa. Ulteriore conferma viene da un suo breve saggio, accompagnato da
illustrazioni di Oskar Kokoschka, recentemente proposto in versione italiana, La muraglia cinese (trad. di Giovanna
Agabio, Archinto, Milano 2007, p. 67, € 12,00). Quelli tra il 1908 e il 1914
sono stati anni nei quali il grande satirico e polemista austriaco è stato
fortemente attratto dal tema del rapporto tra moralità e criminalità e si è
battuto da pioniere a favore di una riforma del diritto penale. Sponsorizzato
dall’allora giovane poeta Franz Werfel, Kraus divenne presto tra i preferiti di
Kurt Wolff, l’editore che a Lipsia, nel 1913, fondò una casa editrice capace di
lanciare scrittori come Franz Kafka, Gottfried Benn, Robert Walser, e artisti
come Oscar Kokoscka, Paul Klee, Paul Gauguin, George Grosz. A proposito di
Kraus, lo stesso Wolff non si stancò mai di ricordare come l’impatto con il
polemista si fosse rivelato per lui come “un incontro con l’assoluto”.
La
storia della pubblicazione de La muraglia
cinese è tormentata e con diversi protagonisti (tra gli altri Max Brod, il
curatore delle opere postume di Kafka, che Kraus non esitò e definire “il
peggior isterico”) ed è ben riassunta nella Postafazione a questo libro da
Friedrich Pfäfflin. All’inizio
del 1914 il libro era pronto, comprensivo della riproduzione di otto litografie
di Kokoschka. Sebbene le immagini tracciate dal pittore austriaco non mostrino
una relazione diretta con il testo krausiano, tuttavia narrano una storia i cui
protagonisti sono amore e morte. La riflessione di Kraus parte infatti da un
fatto di cronaca, da un assassinio per amore, rispetto al quale l’umanità, che
“si crede la misura della creazione”, vorrebbe “gridare aiuto”, pur sapendo di
non poterlo fare. Nel quartiere cinese di New York una “mano gialla” ha ucciso
una missionaria, bianca e cristiana, Elsie Siegel, finita nei “fumi dell’oppio,
che le prometteva una beatitudine più radiosa persino dell’incenso”. La mano,
quella del suo amante cinese, dopo averla amata e accarezzata, l’ha strangolata
e chiusa in una valigia. Il fatto muove subito Kraus a considerazioni impietose
sulla morale occidentale: “Abbiamo costruito le nostre casupole su un cratere
che credevamo spento, abbiamo dialogato con la natura in una lingua umana, e
dato che non capivamo la sua, abbiamo creduto che non si risvegliasse più”. Il
breve saggio è un susseguirsi di massime e sentenze sulla falsa morale
sessuale, del tipo “L’eros famelico, che doveva sublimare il proprio gusto, non
si è raffinato, ma è diventato più aggressivo”, oppure: “Abbiamo costruito una
stufa intorno a una fiamma. Ora la fiamma brucia la stufa”. Fino a quando Kraus
non mette a fuoco “la questione centrale”, ossessivamente ripresa anche in
altri scritti: “come se la caverà il mondo con le donne?” Non mancano gli
strali destinati alla stampa, “che si crede il cervello del mondo ed è solo il
suo strillone”: la grande eco suscitata dall’assassinio di Elsie Siegel,
secondo Kraus, non ha rivelato tanto il “pantano della metropoli” o il marcio
di chi va contro i principi morali, piuttosto ha sbattuto in faccia al mondo
“il marcio della morale”, la falsità del suo modo di vedere.
Il cinese
assassino finisce per essere agli occhi krausiani il “giocoliere” non
sentimentale che “tiene l’etica e il piacere separati”, proteggendo in questo
modo entrambi “dalla rogna”. Ma non basta, l’affondo contro le menzogne della
civiltà occidentale in disfacimento è ancor più tagliente: il cinese è
spietato, “pratica l’aborto e l’infanticidio, benché sia certo che anche il
figlio del cielo indesiderato sarebbe più simile a Dio” dell’uomo occidentale,
“quel bastardo fatto d’isteria e di giornalismo che si sviluppa sotto la
protezione della legge.” Le indagini sull’assassinio, ed è questa la
provocazione con la quale Kraus chiude questo scritto, potrebbero procedere
fino a rivelare come non vi sia stato alcun responsabile. Si potrebbe scoprire,
e non senza stupore, che sia stata piuttosto la ragazza, debole nella sua moralità
cristiana, a lasciarsi attrarre dal cinese, fino a scavalcare, senza
protezione, la muraglia cinese, giungendo infine là dove la donna, sentenzia
Kraus, “sia come moglie che come prostituta, è ugualmente ignorante e incolta”.