La vittoria di Saakashvili rafforza l’Occidente
23 Maggio 2008
Le elezioni parlamentari svoltesi del 21 maggio in Georgia hanno visto la netta affermazione del partito del presidente filo-occidentale Saakashvili, che ha ottenuto più della maggioranza assoluta dei seggi, in una competizione elettorale sostanzialmente regolare e pacifica sebbene non priva di problemi.
Secondo i dati elettorali, in linea con i sondaggi della vigilia, il National Movement Party guidato da Saakashvili ha ottenuto circa il 63% dei consensi, mentre la principale coalizione di opposizione, lo United Opposition Council, si è fermata intorno al 13%. Sembrano superare la soglia di sbarramento anche altri due tronconi dell’opposizione georgiana, il Cristian Democratic Party con circa l’8% ed il Labour Party con poco più del 6%: il primo partito è stato formato pochi mesi prima delle elezioni e ha costruito il suo sorprendente consenso su una piattaforma nazionalista e di ispirazione religiosa, il secondo si è posto come difensore dei ceti popolari.
Erano in corsa per i 150 seggi del Parlamento più di venti partiti, ma la legge elettorale consentirà verosimilmente l’ingresso solo dei quattro gruppi citati: infatti metà dei seggi saranno assegnati su base proporzionale alle liste che avranno ottenuto più del 5% dei voti, e l’altra metà attraverso collegi uninominali nei quali vince il candidato che ottiene più consensi, purché superi il 30% dei voti espressi. Tale meccanismo elettorale amplierà molto probabilmente la maggioranza del partito di Saakashvili che con il 60% dei consensi si aspetta di fare man bassa dei collegi uninominali e di ottenere qualche seggio anche dal riparto proporzionale degli scarti dei partiti che non hanno superato la soglia di sbarramento (circa il 12% dei voti espressi).
Se i risultati definitivi non si discosteranno da quelli parziali, il principale dato politico che emerge è la netta vittoria del blocco filo-occidentale del presidente in carica, con conseguente stabilizzazione dell’assetto politico della Georgia. Saakashvili era già stato rieletto alla presidenza a gennaio con ampio margine, e ora il suo schieramento gode anche di un’ampia maggioranza in Parlamento per formare un governo stabile. Inoltre il National Movement Party è prossimo alla soglia dei due terzi dei seggi che gli permetterebbe di modificare autonomamente la Costituzione. Su questo delicato punto, tuttavia, il presidente ha pubblicamente ribadito di voler mantenere l’impegno preso in campagna elettorale a non cambiare le regole del gioco politico senza un accordo con l’opposizione. Non bisogna infatti dimenticare che la Georgia aveva vissuto dei momenti di forte tensione politica tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008, quando le manifestazioni di piazza dell’opposizione avevano spinto il presidente a proclamare per alcuni giorni lo stato di emergenza. Erano allora sorti timori nella comunità internazionale sia sulla tenuta delle istituzioni democratiche georgiane, sia sulla stabilità del paese caucasico sottoposto a forte pressione russa e collocato in una regione molto travagliata. Le elezioni parlamentari, seguite alle elezioni presidenziali e al referendum su un futuro ingresso della Georgia nella Nato, hanno confermato sia il sostanziale funzionamento della democrazia georgiana sia l’orientamento filo-occidentale largamente maggioritario nel paese. Non si può inoltre escludere che la portata del successo del National Movement Party, inattesa dallo stesso Saakashvili, sia stata favorita anche dalla preoccupazione degli elettori georgiani per la sicurezza nazionale e le intenzioni russe, preoccupazione che potrebbe aver spinto molti a indirizzare il voto verso un leader già sperimentato che sembra in grado di garantire la necessaria stabilità.
Occorre dire che le elezioni parlamentari non si sono svolte in modo pienamente corretto. Tre ONG georgiane che monitoravano il voto hanno denunciato una ventina di intimidazioni ai loro osservatori, si sono avuti spari al confine con la regione separatista dell’Abkhazia controllata dalle forze armate russe, e un candidato del partito presidenziale si è ritirato dopo esser stato scoperto a minacciare dei dipendenti pubblici di licenziamento se non avessero votato per lui. Tuttavia tali episodi appaiono da un lato irrilevanti se rapportati all’ampiezza indiscutibile del successo del partito di Saakashvili, dall’altro non così gravi considerando il contesto delle elezioni: una democrazia post sovietica giovane, circondata da dittature o da guerre civili, con l’esercito russo presente sul proprio territorio nazionale per incoraggiare la secessione dell’Abkhazia e Mosca intenta a premere per destabilizzare il governo filo-occidentale.
In questo contesto, un comunicato degli osservatori internazionali dell’OSCE afferma "la classe politica si è sforzata di condurre le elezioni parlamentari in linea con gli standard internazionali, ma si sono verificati un certo numero di problemi che hanno reso la loro realizzazione incompleta”. Gli osservatori aggiungono che lo svolgimento delle elezioni è stato “pacifico e nel complesso considerato positivamente”, sebbene “vi siano numerose segnalazioni di intimidazioni”. In questo contesto vanno valutate anche le dichiarazioni del United Opposition Council, che ha definito le elezioni totalmente falsate rivendicando addirittura la maggioranza relativa dei voti: il gruppo radicale la scorsa notte ha convocato a Tbilisi una manifestazione di piazza per contestare il risultato elettorale, ma vi hanno partecipato solo un migliaio di persone ed è terminata senza problemi di ordine pubblico. I cristiano-democratici e i laburisti non si sono uniti a tale contestazione, proseguendo la linea tenuta in campagna elettorale di critica sul merito delle politiche di Saakashvili, in particolare su corruzione e disoccupazione, piuttosto che di delegittimazione radicale del governo.
Nel complesso, sembra dunque che la Georgia abbia compiuto un altro passo nel suo difficile cammino verso la stabilità democratica.