Viaggio nel regno di Hezbollah

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Viaggio nel regno di Hezbollah

Viaggio nel regno di Hezbollah

26 Marzo 2008

Appena usciti dall’aeroporto internazionale di Beirut, un
manifesto di Imad Mugniyah, il grande stratega militare di Hezbollah assassinato
in circostanze misteriose a Damasco, ti dà il benvenuto. Eccoci in Libano. La
terra dei Cedri e di una pace precaria per definizione. Per la diciassettesima
volta l’elezione del nuovo Presidente è stata rinviata. Il fronte filo-siriano
e quello filo-occidentale non riescono a trovare un accordo. Il nome ci sarebbe,
l’attuale capo di stato maggiore delle LAF (Lebanese Armed Forces) generale
Suleiman, ma manca l’accordo sulla composizione del governo e sul cosiddetto
terzo di garanzia, ovvero sul numero di ministri (un terzo più uno) che
spetterebbe alla minoranza dandole il diritto di veto sulle scelte governative.
Troppo delicati gli equilibri interni, troppo forti le pressioni esterne che
rischiano di mandare nuovamente in frantumi il vaso di coccio libanese, con
13.000 caschi blu dentro, di cui 2.500 italiani. Così è il Libano, però.
Complesso, affascinante, sorprendente, ma maledetto. Sempre in bilico tra il
suo destino di ricca porta commerciale del Medio Oriente e il baratro di
appetiti che ne fanno terra di intrighi e conquiste. Una sorta di Polonia del
Medio Oriente dove, però, non appena un Walesa qualsiasi tende a profilarsi
all’orizzonte per unire il Paese, altre forze oscure sono subito pronte ad
inghiottirlo.

Tant’è, il Libano è una matassa inestricabile dove etnie,
religioni e interessi diversi si attorcigliano da sempre su stessi. Diciotto,
più o meno, le confessioni presenti, sei i partiti o i movimenti che hanno
rilevanza a livello nazionale e molte, troppe, le potenze straniere pronte a
sfruttare le divisioni interne per i propri sollazzi geopolitici. In questo groviglio si è venuta a cacciare l’ONU, che comunque
era presente in Libano, ma in forme meno significative, sin dal 1978, e
l’Italia, per il nostro Paese un ritorno. I pericoli sono dietro l’angolo. L’area
dove operano i militari delle Nazioni Unite, che dal Litani arriva fino alla linea Blu sul
confine israeliano, è il regno di Hezbollah. Passi Sidone e te ne accorgi
subito: sei in pieno Hezbollahstan. I manifesti con il volto sorridente dell’ex
premier Hariri lasciano il posto alla figura severamente islamica
dell’ayatollah Khomeini. Da queste parti l’influenza iraniana è un fatto della
vita. E poi ancora i manifesti di Khamenei e della diarchia saldamente alla
guida di Hezbollah: Nasrallah, lo stratega politico, e Fadlallah, l’ideologo e agitatore
religioso. Capisci che qui le regole sono diverse dalle altre parti del Paese:
il governo è lontano, Beirut è distante anni luce. I militari di UNIFIL e
l’Esercito libanese lo sanno e si comportano di conseguenza. L’invisibile
presenza del Partito di Dio la respiri ancor di più arrampicandoti per le
stradine che portano ai polverosi villaggi appollaiati sulle mille colline del
sud: Hariss, Shahra, Haddathah e via dicendo. Tanti nomi, ma un unico copione.
Ad ogni villaggio ti accolgono le bandiere gialle di Hezbollah e quelle verdi
di Amal. E poi i tanti manifesti con i volti degli shahid, i martiri caduti
duranti i durissimi scontri con Israele dell’estate 2006. Fu battaglia vera:
combattuta proprio tra questi villaggi le cui vie di accesso spesso si
trasformarono in trappole mortali per i carri Merkava della riserva di Tsahal.

Quassù le LAF non si vedono molto in giro. Nessun check
point, niente; quelli li trovi sulla litoranea che da Beirut corre giù fino a
Naqoura attraversando Sidone e Tiro. Quassù è un altro mondo. Quass