Ma il nodo-Alitalia resta difficile da sciogliere

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Ma il nodo-Alitalia resta difficile da sciogliere

Ma il nodo-Alitalia resta difficile da sciogliere

03 Giugno 2008

 

Sulla scrivania di Giorgio Napolitano sono pronti per la firma tre decreti legge che il Consiglio dei Ministri ha già approvato: il primo riguarda delle modifiche e deroghe alla legge 474/94 (in materia di privatizzazioni), allo scopo di dare maggiori poteri e libertà d’azione al CdM in merito alla vicenda Alitalia (limitando fortemente anche il raggio d’azione CONSOB); il secondo è relativo all’approvazione del famoso “prestito ponte”; ed il terzo di fatto smentisce il secondo, perché si tratta di una norma che autorizza i suddetti 300 milioni al “trasferimento in conto capitale (apporto al capitale sociale per il ripiano di perdite) con pari effetto sull’indebitamento della pubblica amministrazione per l’anno 2008”.

Questo è il comunicato del Tesoro.

Invece per noi uomini della strada dire che i 300 milioni non sono più un debito, ma vengono “patrimonializzati” o “trasferiti in conto capitale” significa questo: l’azionista (lo Stato) che ha prestato soldi alla sua società ed è diventato perciò un azionista-creditore, rinuncia a un certo punto al suo credito. I 300 milioni cambiano allora di casella: escono dalla casella del debito ed entrano nella casella delle ricchezze dell’azienda, cioè del suo patrimonio, insieme ai terreni, agli immobili, agli aerei. È praticamente come se si fosse aumentato il capitale. E da dove escono questi soldi? “Le coperture sono state così individuate: 205 milioni dal fondo per la competitività e lo sviluppo, 85 milioni dal fondo per la finanza d’impresa e 10 milioni dal fondo speciale di parte corrente del ministero dell’Economia e delle finanze”.

Questa è sempre la voce del ministero di Tremonti. Nella pratica, in barba alle raccomandazioni di Bruxelles, questo ennesimo stratagemma contabile costerà 5 euro (a fondo perso, ovviamente) ad ogni italiano vivente, neonati inclusi.

Per almeno dodici mesi, Alitalia ha vita assicurata. Ma in questo periodo lo scenario è destinato a mutare notevolmente.

La novità forte sul piatto è la rimozione di CitiBank, advisor (cioè controllore dei conti) durante la gestione Prato, che avverrà nel CdA del 3 Giugno.

Tremonti, indifferente alle eventuali critiche per un presunto conflitto di interessi, ha piazzato come nuovo advisor Intesa-SanPaolo, colosso bancario che fino a qualche settimana fa era proprio uno dei soggetti coinvolti in una delle più concrete alleanze per l’acquisto della compagnia aerea.

Ma il ministro del Tesoro ha già precisato: “Con la nuova procedura sarà il Consiglio dei Ministri a scegliere uno o più soggetti qualificati che assumano il controllo”. E sarà sempre il CdM ad approvare l’offerta di acquisto, tenendo conto anche di “interessi generali”.  Sarebbe utile capire se all’interno di questi interessi “generali” siano ascrivibili anche quelli della banca guidata da Giovanni Bazoli!

Giustamente Tremonti ha tenuto a specificare che “se oltre ad essere advisor sarà investitore o no dipende dalle scelte di banca Intesa”.

La strategia è più che chiara. Ma del resto era già accaduto in campagna elettorale che Intesa-SanPaolo facesse capire a più riprese che il suo coinvolgimento sarebbe potuto avvenire solo sulla base di una scelta anzitutto finanziaria e industriale. Altro che “salvaguardia della compagnia di bandiera per il bene del Paese”. Non c’è da stupirsi: da sempre le banche si muovono nella direzione dei soldi, e ancora una volta abbiamo sottomano la dimostrazione di dove siano posizionate al giorno d’oggi le vere leve del potere.

L’altro numero uno della banca, il presidente del consiglio di gestione Enrico Salza, a margine dell’assemblea di Bankitalia ha aggiunto:  “Alitalia versa da tempo in condizioni di grave difficoltà, per risolvere le quali ci sono stati diversi tentativi di intervento. Ora, un grande gruppo bancario come il nostro ha accettato l’incarico di agire in qualità di advisor per ricercare una possibile soluzione della sua crisi. Fatte le necessarie ricognizioni, se saranno valutate positivamente dall’azienda e dal suo principale azionista, verranno ricercati gli investitori industriali e finanziari adeguati”.

Cerco di riportare ancora in un linguaggio meno political-economo-burocratese, e più comprensibile a tutti: Intesa-SanPaolo ha da tempo in testa un percorso in tre fasi ben definite. Dal momento in cui il nome della banca è stato affiancato a quello di Alitalia, l’AD Passera ha sempre dichiarato “prima di esporci, vogliamo vedere i conti”.  Sacrosanto, visto che si parla di un’azienda che da dieci anni ha i bilanci in rosso vivo. Ma stiamo parlando di un’operazione non così facile a farsi come a dirsi! Forse nemmeno Spinetta, che era stato ad un passo dall’acquisto, aveva avuto una reale e completa panoramica dello stato (agonizzante) in cui si trova Alitalia. Ora, ricevuto l’incarico ufficiale di advisor dal consiglio di amministrazione Alitalia, Intesa-SanPaolo avrà finalmente l’accesso ai conti “veri” della compagnia.

Dopodiché, valuterà i possibili scenari. Berlusconi gradirebbe una cordata di imprenditori italiani che unisca a nozze Alitalia ad Air One, ma realisticamente senza un partner internazionale il futuro di medio periodo resta incerto. Il principale indiziato è ancora Lufthansa, che però resta alla finestra, desiderosa di vedere Alitalia passare innanzitutto da un duro piano di risanamento. La terza e ultima fase per Intesa-SanPaolo sarà quella della raccolta delle adesioni: solo a quel punto Intesa deciderà se investire o meno direttamente, assieme ai vari nomi che da tempo circolano attorno alla questione: Colaninno, Radici, Ligresti, Fossati, Riva. Recentemente è salito sulla scena anche il gruppo Aponte, leader in Campania nei trasporti, ed interessato ad Alitalia Cargo.

Ma il nome principale resta quello di Roberto Colaninno.

Mettendo da parte gli interrogativi sul futuro di una Piaggio che sarebbe lasciata orfana, l’accoppiata Toto-Colaninno sembra lo scenario più concreto per il futuro della compagnia di bandiera. 
Ovviamente la ricomparsa di Intesa-SanPaolo come advisor ripropone la presenza di Air One, con la quale è sempre stata legata a doppio filo. Ma rispetto al piano iniziale, la holding cui fa capo la compagnia di Carlo Toto, avrebbe un peso inferiore a quello immaginato pochi mesi fa. Dato che la nuova compagnia avrà bisogno di capitali ingenti, questi dovrebbero arrivare da una cordata di imprenditori italiani: investitori interessati a un ruolo puramente finanziario/speculativo.  E l’uomo che starebbe a capo di questa cordata, accettando di avere un ruolo imprenditoriale di primo piano in azienda sarebbe proprio Roberto Colaninno. 

L’accoppiata sembra vincente: Air One di Carlo Toto ha appena presentato i suoi conti del 2007, e c’è di che stare allegri. Air One ha superato il 37% della quota di mercato nazionale, ha chiuso il bilancio 2007 con un utile netto di circa 6,8 milioni, il fatturato segna +22,6%, a 749,5 milioni, la compagnia ha trasportato oltre 7,5 milioni di passeggeri (+20,8% 2006).

Colaninno invece, a conti fatti, è il soggetto con la maggior disponibilità a investire: avrebbe indicato una disponibilità fino a 250 milioni e sarebbe fiducioso sul confronto con i sindacati.

Ecco, i sindacati. Il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, entrando nella sede di Bankitalia ha auspicato un incontro a breve con il governo: “Appena sono pronti dovranno dirci. Spero che non siano reticenti come l’altro Governo. Ci vogliono buone dosi di ottimismo per creare un clima positivo: è questo che chiedono gli italiani”.

Ma il vero nodo da risolvere, cioé gli eterni esuberi della compagnia della magliana?
Bonanni non si fa trovare impreparato: “Ne abbiamo parlato con l’azienda: una ripartenza infatti prevede qualche esubero. Ma il rilancio non potrà che esserci riattivando le rotte a lungo raggio e nazionali che sono state tagliate”.

Ultima traduzione dal political-economo-burocratese: parlarne con l’azienda e col governo non è un problema…il problema vero è spiegare come stanno le cose ai lavoratori. Se non riusciremo a farci capire, pur di non sputtanare un sindacato che in Italia è già una mezza barzelletta, daremo la colpa al Milano- Singapore o al Pisa-Bari a frequenza giornaliera.