Le proposte di Balladur per le riforme istituzionali

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Le proposte di Balladur per le riforme istituzionali

03 Aprile 2008

Mezzo secolo dopo l’adozione della costituzione della V
Repubblica, in Francia è all’ordine del giorno una nuova riforma istituzionale.
La longevità di questo testo si spiega senza alcun dubbio con ciò che si è
convenuto chiamare la sua “flessibilità”, ossia la stupefacente diversità delle
letture successive che se ne è potuto dare. A tal punto che i periodi di
coabitazione sono potuti sembrare altrettanti tradimenti dello spirito del 1958
– o meglio del 1962 –, mentre, nonostante quanto dicevano i presidenti
Mitterrand e Chirac, si trattava il più delle volte solo dell’interpretazione
più tristemente letterale del testo costituzionale. Potendo offrire sia lo
spettacolo di una presidenzializzazione estrema, sia di una
re-parlamentarizzazione del regime e di un’improvvisa diarchia al vertice dello
Stato, questo testo fu, nondimeno, abbondantemente modificato, forse alla
ricerca di una vana chiarificazione. Si contano fino a quindici modifiche in
questi ultimi dodici anni.

Senza dubbio la riforma del
%0Aquinquennato e di ciò che viene chiamato l’inversione del calendario
elettorale, grazie alla quale le elezioni legislative procedono ormai
dall’elezione presidenziale, ha segnato una considerevole evoluzione
costituzionale. Le circostanze particolari della rielezione di Jacques Chirac
nel 2002, a causa dell’assenza di una reale legittimità che essa conferiva al
Presidente rieletto, non hanno permesso di misurare immediatamente la portata
principale di questa riforma. Sono stati necessari cinque anni e l’elezione del
presidente Nicolas Sarkozy perché le istituzioni si rivelassero pienamente
nella loro nuova luce.

Anticipando questo fenomeno,
il nuovo Presidente della Repubblica ha scelto di riunire un “Comitato di
riflessione e di proposta sulla modernizzazione e il riequilibrio delle
istituzioni della V Repubblica”, detta poi “Commissione Balladur” dal nome del
suo presidente, per riaprire l’interminabile cantiere istituzionale. Tuttavia,
vi è un’ambiguità che non sfugge a nessuno fin dalla riforma del 2000.
L’obiettivo è ormai riequilibrare delle istituzioni parlamentari sconvolte da
ondate successive di presidenzializzazione del regime, oppure, più
radicalmente, portare a termine ciò che sarebbe un’inesorabile evoluzione delle
istituzioni francesi verso un modello all’americana? L’eventuale messa in
discussione del principio di responsabilità del Governo davanti al Parlamento,
menzionata dallo stesso Presidente Sarkozy, e l’indebolimento iscritto nella
Costituzione della figura del Primo Ministro, a vantaggio del Presidente della
Repubblica, erano evidentemente al centro del dibattito.

Ora, quando il 20 marzo 2008
il progetto di riforma istituzionale è stato presentato davanti al Consiglio di
Stato, una sola proposta attira realmente l’attenzione dei commentatori
informati: il riconoscimento del diritto per il Presidente della Repubblica di
prendere la parola davanti al Parlamento, riunito in Congresso, o davanti l’una
o l’altra delle Camere, e la possibilità che il suo discorso possa essere
seguito da un dibattito, in sua assenza, senza che si possa procedere ad alcun
voto. Unito alla proposta secondo la quale nessuno potrà ormai compiere più di
due mandati successivi alla testa dello Stato, questo progetto sembra avere
innegabilmente un leggero sapore d’oltre-Atlantico. Eppure si è ancora lontani
dalle proposte più ardite del candidato Nicolas Sarkozy, sulle quali aveva
dibattuto la Commissione Balladur. Quest’ultimo, benché fermo nella sua analisi
della situazione istituzionale, era rimasto prudente in merito a questa opzione
fondamentale, preferendo eludere ciò che lo divideva al suo interno.

Il rapporto, consegnato il
29 ottobre 2007, partiva da due constatazioni principali. Innanzitutto,
l’accettazione presidenzialista del regime, definita dal generale de Gaulle in
occasione della sua conferenza stampa del 31 gennaio 1964, è divenuta
ineluttabile dopo l’adozione del quinquennato. Ora, fin dalle origini, essa
avrebbe condotto a un disequilibrio istituzionale preoccupante: «I poteri
del Presidente della Repubblica
, secondo il rapporto, si esercitano
senza contrappeso sufficiente e senza che colui che i Francesi hanno eletto per
decidere della politica della Nazione ne risponda sul piano politico»
. In
secondo luogo, l’esperienza dolorosa per la politica francese di nove anni di
“coabitazione” avrebbe permesso di evidenziare una falla del testo del 1958 che
non permette di determinare con certezza i poteri del Presidente della
Repubblica e di distinguerli da quelle del suo Primo Ministro.

La Commissione proponeva
dunque, da un lato, di «tentare di definire meglio la suddivisione dei ruoli
tra i governanti
» e di «fornire una cornice all’esercizio dei poteri che
il Presidente della Repubblica deriva dalla Costituzione stessa o dalla pratica
politica e istituzionale
» e, d’altra parte, di rafforzare il Parlamento.
Sotto questo aspetto, il Comitato sottolineava la necessità di «migliorare
la funzione legislativa, di allentare la morsa del parlamentarismo
razionalizzato, dotare l’opposizione di diritti garantiti, rafforzare il potere
e i mezzi di controllo del Parlamento
». Raccomandava, insomma, un esecutivo
meglio controllato, accanto a un Parlamento rafforzato.

A questo scopo si trovano in primo luogo delle proposte,
talvolta di pura ingegneria costituzionale, il più delle volte indicate già da
un certo tempo nella politica francese: la riforma dell’articolo 16 della
Costituzione, allo scopo di rafforzare i poteri del Consiglio costituzionale in
occasione dell’attribuzione dei pieni poteri al Presidente della Repubblica; la
revisione della procedura, quanto mai sviscerata, dei sostegni ai candidati
all’elezione presidenziale; la limitazione dell’uso del famoso articolo 49,
comma 3, perla del parlamentarismo razionalizzato, alle sole leggi di bilancio
e sulla previdenza sociale; la procedura di riforma dell’emergenza, le due
Camere potendo ormai opporsi tramite un voto interno a ognuna di esse; la fine
del monopolio governativo dell’ordine del giorno del Parlamento…

Un’altra serie di proposte
rientra piuttosto in una logica di modernizzazione dello Stato sul modello di good
governance
caro alle istituzioni europee. I suggerimenti per migliorare il
lavoro legislativo attraverso procedure di studio di impatto o l’istituzione di
un controllore giuridico per ministero ne sono esempi particolarmente evidenti.
Si ritrova questa preoccupazione anche nelle proposte che mirano a rendere le
procedure di controllo parlamentare più adeguate ed efficaci, sia in materia di
controllo e di valutazione delle politiche pubbliche, sia di controllo
dell’applicazione delle leggi o del coinvolgimento del Parlamento nelle
questioni europee.

L’ultima serie di proposte
riguarda alcuni temi scottanti d’attualità politica: è il caso di quella
relativa al bilancio della Presidenza della Repubblica, del tempo di parola dello
stesso Presidente nei mass media, o del divieto del cumulo della funzione di
Ministro con un mandato elettivo qualunque esso sia. Tuttavia, senza
dubbio a giusto titolo, le proposte che più hanno attirato l’attenzione dei
commentatori, ma forse anche dei redattori del progetto di legge
costituzionale, sono quella che mira a ridefinire la distribuzione dei poteri
tra il Presidente della Repubblica e il Primo Ministro, attraverso una
riscrittura dell’articolo 20 della Costituzione, e quella relativa al diritto
per il Presidente della Repubblica di prendere la parola davanti alle Camere.
Infatti, più ancora dello spirito del 1958, intaccato dall’insieme di proposte
che tendono a diminuire la portata delle disposizioni di razionalizzazione del
parlamentarismo, è il modello stesso della Repubblica parlamentare a essere in
discussione. Se questo progetto dovesse essere adottato, ancora una volta la
rottura non sarebbe brutale: passo dopo passo, ma con ferma costanza i Francesi
volgono la schiena alla tradizione del regime parlamentare.

Traduzione Lucia Bonfreschi