Gli americani ancora non sanno chi è il vero Obama
07 Giugno 2008
Con Barack Obama ormai saldamente aggrappato alla candidatura del Partito Democratico per la corsa alla Casa Bianca vale la pena riflettere sullo straordinario momento storico che stiamo vivendo. I democratici stanno, infatti, candidando un neo senatore che la gran parte degli americani a malapena conosce a tre anni appena dall’inizio della sua legislatura in Illinois. Le proiezioni dicono, inoltre, che egli è il favorito per diventare il futuro Presidente degli Stati Uniti.
Si pensi a questo dato da un punto di vista storico. Jimmy Carter e Bill Clinton erano relativamente sconosciuti, ma entrambi erano stati governatori di primo piano. John Kerry, Walter Mondale, Al Gore e persino George McGovern erano tutti personaggi di lungo corso sulla scena di Washington. I candidati repubblicani, d’altra parte, sono sempre stati tutti, nel bene e nel male, più noti dei loro colleghi. Con Obama, dunque, i democratici stanno osando addirittura oltre i loro abituali standards di rischio.
Non c’è dubbio che tutto ciò contribuisca a creare l’enorme appeal di Obama. In un clima di aperta rabbia contro la vecchia politica, il senatore dell’Illinois non è compromesso da lunghi anni di gavetta. La sua storia personale, il suo background interrazziale e la sua ascesa sociale dal nulla ad Harvard, risuonano in un’America dove le due icone culturali più in vista del momento sono Tiger Woods e Oprah Winfrey. Il suo talento politico è formidabile e lo è altrettanto la sua abilità di entrare in sintonia con il pubblico dei comizi elettorali.
In particolar modo Obama ha costruito un messaggio che ben si adatta al momento politico e al desiderio di cambiamento della gente. Al suo meglio, egli offre agli americani stanchi di guerra e rancori politici la promessa di un nuovo senso di unità nazionale. Questo ha fatto presa in particolar modo fra i giovani, ma più di qualche repubblicano è attratto da questa visione “post partitica”.
Obama ha inoltre mostrato grandi capacità nella conduzione della sua campagna. Nessuno, noi compresi, gli aveva concesso grandi possibilità di battere la macchina elettorale dei Clinton. Non c’è alcun dubbio che egli abbia tratto beneficio dal desiderio diffuso anche fra molti democratici di farla finita con la polarizzante era Clinton. Ma egli ha anche saputo battere Hillary e Bill al loro stesso gioco. Ha raccolto più fondi e li ha surclassati nel lavoro sui caucus dei piccoli stati che gli hanno garantito il seppur stretto margine di vantaggio nel numero dei delegati. E anche ora è molto meglio organizzato del suo rivale John McCain negli stati in bilico fra rappresentanza repubblicana e democratica. Tutto ciò depone a favore della sua preparazione per novembre e forse anche del suo potenziale per il governo.
Tuttavia di quale governo e con quali obbiettivi? Questo è ciò che gli americani non sanno di Obama. A dispetto di tutta la sua ispirata retorica bipartisan, il suo voto è fra i più schierati del senato americano. La sua agenda politica è liberal su tutta la linea ben più di quella di Hillary Clinton e senz’altro più di quella di ogni altro candidato democratico dal
Non è possibile trovare una sola materia su cui Obama abbia rotto con i gruppi di interesse della sinistra del suo partito. Prima si è impegnato per una riforma in senso meritocratico dei salari degli insegnanti per poi affossarla, successivamente, sotto la marea di nuovo denaro che propone di spendere a favore del vecchio sistema della scuola pubblica. Ha assunto la linea del sindacato IBT (Teamsters) contro il libero commercio al punto da riscrivere unilateralmente le regole degli accordi NAFTA. Vuole alzare le tasse persino sopra il livello dell’era Clinton includendo un enorme aumento dei livelli di tassazione sui salari.
Forse adesso Obama virerà verso il centro ma dovrà comunque spiegare, in qualche modo, perché il “cambiamento” che sta proponendo non è semplicemente lo stesso avvenuto a partire dal 1965.
C’è inoltre la questione della sua sensibilità e delle radici della sua personalità politica. Fummo tra coloro che invitarono a non sovradimensionare la sua associazione con
Piuttosto spregiudicatamente sabato scorso Obama ha dichiarato che l’intera vicenda lo ha colto di sorpresa. Tuttavia egli era già sufficientemente consapevole del rischio politico che correva da tenere il reverendo Wright lontano dal palco durante il discorso per il lancio della sua candidatura più di un anno fa.
In un’intervista del 2004 al Chicago Sun Times, Barack Obama citava tre uomini come sue guide religiose. Uno era il reverendo Wright. Un altro era padre Michael Pfleger, sodale di Louis Farrakhan, le cui recenti dichiarazioni hanno costretto Obama a lasciare
Il punto, dunque, non è tanto che Obama condivide le opinioni radicali di tali figure. La preoccupazione, piuttosto, è che per sua stessa ammissione questi sono stati i suoi più importanti ispiratori morali e le loro opinioni sono drammaticamente in disaccordo con l’immagine di un candidato che si presenta come mediatore interrazziale. Il loro supporto fu inoltre utile quando Obama si faceva largo negli ambienti politici di Chicago. Ma solo adesso, perché sotto i riflettori della campagna nazionale, egli ne sta prendendo le distanze. La domanda è, dunque, che cosa Obama realmente creda.
Il giovane senatore è esploso come una supernova sulla nostra scena politica, più fenomeno che candidato tradizionale. Il risultato della vittoria per la nomination democratica è stato impressionante. Adesso però ha davanti a sé un audience più difficile. C’è in palio la presidenza degli Stati Uniti e gli americani hanno il diritto di conoscere meglio quest’uomo talentuoso che è il candidato alla Casa Bianca meno esperto e navigato dei tempi moderni.
Traduzione Alessandro Rossi