Classici, transex e Pavarotti

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Classici, transex e Pavarotti

Classici, transex e Pavarotti

10 Gennaio 2011

Ci sono nel repertorio dei brani che nascono classici. Perfetti. Che non hanno bisogno di essere aggiustati, rivisti, perché sono già come dovranno rimanere per sempre nella storia della musica. Le canzoni dei Beatles. Mozart. Fra le sue tante serenate, Eine kleine nachtmusic è immediatamente diventata, e da allora è rimasta, un pezzo popolare. Perché? Perché è nata perfetta. E le quattro stagioni di Vivaldi?

Perfino gli autori si stupiscono talvolta del trionfo di una loro composizione, e non ci credono, come Ravel, il quale, malgrado l’inaspettato successo del suo Bolero, per tutta la vita ha continuato a considerarlo un pezzo di colore e niente di più.

Altri brani sono nati classici, ma sono diventati davvero popolari solo dopo un lifting. Sono i mattoni: Wagner, e le sue opere soporifere di cinque ore, però con dentro la cavalcata delle Walkirie, estratta e resa consumabile dal film Apocalypse Now; oppure Mahler, più sommesso ma quasi altrettanto noioso, arrivato a tutti con lo straziante adagetto crepuscolare di Morte a Venezia. Il Zaratustra di Strauss, ad accompagnare i primi passi dell’umanità di Odissea nello Spazio, e poi naturalmente i grandi rivoluzionari, tipo Stravinskij che, dopo un secolo, ancora ci stravolge come allora, quando la prima esecuzione provocò risse furibonde con scazzottate e colpi di pistola in sala. Anche lui però ha avuto bisogno di Fantasia di Disney per entrare nelle orecchie della gente.

Ci sono poi i colpi di fortuna che salvano la carriera di musicisti altrimenti dimenticabili, come l’autore della colonna sonora di Anonimo Veneziano, che da allora ci campa di rendita grazie al robusto, involontario contributo del Concerto per oboe di Marcello.

Oppure i colpi di genio di veri precursori: il Beethoven di Arancia Meccanica, modernizzato, suonato e inciso con sprezzo del pericolo sui primi sintetizzatori, i Moog. Piccolo gossip. Forse non tutti sanno che l’eroico responsabile di questa audacia, Walter Carlos, qualche anno fa ha cambiato sesso e adesso si chiama Wendy.

Ci sono le idee apparentemente banali, che poi si rivelano geniali, raffinati giochi, un po’ ricerca filologica e un po’ presa per il sedere. Per esempio la marcetta dell’Armata Brancaleone di Carlo Rustichelli.

E ci sono invece le vere banalità, che spuntano fuori soprattutto nei documentari. Antichi romani? Obbligatori trombe, corni e timpani. Fontane e ruscelli? L’arpa. Africa? Tamburi. Spagna? Chitarre e nacchere. Napoli, invece, chitarre e mandolini. E così via stereotipeggiando.

Ci sono i tormentoni estivi. Dai primi anni ’60 in poi, l’immortale Abbronzatissima di Vianello, idea brillante, vestita spiritosamente dall’arrangiamento di Morricone, allora all’inizio della carriera con la RCA, e già pieno di trovate. E’ passato mezzo secolo, ma appena le previsioni del tempo annunciano la buona stagione, eccola che rispunta.

Ci sono le leggende. Ci raccontano che durante il fascismo era prescritto tradurre in italiano i nomi dei solisti americani (e negri, per di più) e i titoli degli standard jazz. Tipo Louis Armstrong che diventava Luigi Fortebraccio, e Saint Louis Blues ridicolizzato in Le tristezze di San Luigi. Forse qualche censore particolarmente cretino può averci provato, ma noi non crediamo che ci sia riuscito. Mai vista un’etichetta o copertina di disco con questi nomi. Comunque, crederci o no, è molto pittoresco.

Ci sono strumenti impossibili. Il bayan, una fisarmonica russa, che va molto di moda in questo periodo, specialmente fra i musicisti colti; pesantissima, roba da sedici chili, come lo zaino di un alpino. Il solista è obbligato a suonare seduto, altrimenti non ce la fa.

Ci sono i fessi, Quelli che credono che Elvis sia ancora vivo, e anche John Lennon; o che a far girare al contrario i vecchi LP di rock si ascoltano messaggi satanici.

E c’è la stupidità. Questo è argomento un po’ più delicata. Quando Pavarotti, un tenore dalla voce stupenda, una voce, a settant’anni ancora da ragazzo, capace di miracolose interpretazioni del repertorio lirico, si mette a cantare con i tre tenori o a fare i duetti con Zucchero, ecco, quella è stupidità. Non perché un cantante lirico non deve abbassarsi a fare le canzonette, anzi. E’ che non è capace. Non ha alcuna leggerezza, non sa cosa sono gli anticipi e i ritardi (lo swing), non conosce il sottotono. Canta gridando, perché non è abituato al microfono. E diventa un elefante fra i cristalli.

E’ possibile eliminare le scemenze e tenersi solo il meglio? Abbiamo paura di no. Che fare allora? Potremmo chiudere un occhio e accontentarci di Bocelli, oppure, forse meglio, tenerci il Pavarotti (buonanima) e sopportare un O Sole Mio pur di avere in cambio un All’Alba Vincerò. Non è un cattivo affare.

L’archivio del Cavalier Serpente, o meglio la covata di tutte le sue uova avvelenate, sta al caldo nel suo blog. Per andare a visitarlo basta un click su questo link: http://blog.libero.it/torossi