Quale via d’uscita per Israele con Hamas?
12 Aprile 2008
Il 9 aprile si è verificato l’ennesimo attentato di miliziani palestinesi contro civili israeliani. Il teatro della tragedia è stato il valico di Karni: un commando palestinese è riuscito a penetrare e uccidere due persone in un distributore di benzina. Nella stessa giornata l’esercito israeliano ha effettuato nuove incursioni nella Striscia di Gaza uccidendo 7 persone, tra cui un bambino. Soltanto un mese fa si era assistito a una imponente incursione delle forze terrestri di Tsahal nella Striscia, il che aveva fatto pensare che fosse giunto il momento della rioccupazione vera e propria della roccaforte di Hamas. Così non è stato e dopo tre giorni di operazioni e un centinaio di palestinesi uccisi, l’esercito israeliano è rientrato nelle proprie basi. Qualche giorno dopo, alcuni terroristi sono riusciti ad infiltrarsi in una yeshiva (scuola rabbinica) di Gerusalemme, sparando all’impazzata e uccidendo 7 studenti.
In Israele e nei territori occupati è tornato il terrore. Se fino a un mese fa le forze palestinesi restavano asserragliate nella Striscia-fortino, sparando razzi contro Sderot ed Ashkelon, gli ultimi due attacchi sono avvenuti in territorio israeliano. Il senso di insicurezza ha di nuovo assalito i cittadini di Israele. Da qui l’idea del muro in Cisgiordania e le continue incursioni nel territorio di Gaza. La posizione del governo Olmert, agli occhi dell’opinione pubblica interna, non è certo delle migliori. La popolarità del leader di Kadima – ultima creatura di Sharon prima della sua scomparsa dalla scena politica – è ai minimi storici; mai un Primo Ministro israeliano era sceso tanto in basso in termini di consenso.
Chi decide oggi a Gerusalemme risulta essere piuttosto Barak, attuale Ministro della Difesa e soprattutto aspirante premier. Nonostante sia il militare più decorato di Israele, non è mai stato un falco; ora, invece, stiamo assistendo a una sorta di trasformismo politico. Barak ha colto le paure del proprio popolo, e avendo come avversario politico chi è disposto a praticare la tolleranza zero (anche fino alla rioccupazione militare della Striscia di Gaza), non ha altra scelta se non l’escalation. L’obiettivo è la poltrona di primo ministro alle prossime elezioni del 2009, ma dovrà lottare contro quel Likud di Netanyahu che, se si votasse oggi, vincerebbe a mani basse grazie alle promesse di affrontare a muso duro il terrorismo palestinese. Sono da leggere in quest’ottica le ripetute incursioni ordinate da Barak: un uso strumentale del potere militare che non potrà giovare più di tanto nel lungo termine, lasciando la situazione praticamente inalterata. E’ quello che è accaduto dopo i 3 giorni di operazioni nella Striscia di Gaza; operazioni che probabilmente, con Netanyahu, si sarebbe concluse con l’occupazione. Ma l’interrogativo rimane: se dovesse riuscire a diventare primo ministro, Barak continuerà in questa direzione, cercando di colpire fino in fondo il terrorismo palestinese, o si accontenterà e cercher