Cossiga alla guerra con i paradossi
26 Marzo 2007
La conferenza internazionale per l’Afghanistan aperta non solo ai talebani, come chiede Fassino, ma anche ad Al Qaeda. L’ordine ai soldati di occuparsi solo di iniziative umanitarie. E di sparare solo per autodifesa personale. E’ noto che il presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, abbia il gusto per la provocazione politica. Così come è risaputa la sua capacità superiore di utilizzare gli strumenti parlamentari messi a disposizione dal regolamento del Senato per le sue campagne politically incorrect. Stavolta però Cossiga s’è superato. In vista del dibattito sul voto di rifinanziamento alle missioni internazionali, il senatore a vita ha presentato un ordine del giorno e quattro emendamenti. Cinque picconate d’altri tempi.
Nell’odg, l’ex presidente della Repubblica “impegna il Governo, attraverso il suo ministro degli Esteri, a richiedere la convocazione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e a proporre l’indizione di una conferenza internazionale per l’Afghanistan cui invitare, tra gli altri, tutti i soggetti che oggi operano anche militarmente in quel paese, compresi i talebani e i movimenti loro alleati transnazionali anche se definiti terroristici”. Cioè Al Qaeda.
Negli emendamenti presentati, Cossiga affronta la questione delle regole di ingaggio. Provocatoriamente. Il presidente emerito, infatti, chiede che siano riviste in modo da determinare un generale disimpegno del contingente italiano a Kabul. Nell’emendamento 3.10 propone di sfilare il comando delle unità militari italiane dal coordinamento della Nato per affidarlo alla responsabilità esclusiva del governo “tramite la catena di comando costituita dal ministro della Difesa, dal Capo di Stato Maggiore della difesa e il Comandante del Comando operativo interforze, escluso ogni controllo operativo di comandi della North Atlantic Treaty Organization. Parimenti – prosegue – il comando militare italiano locale non può trasmettere a qualunque comando o unità di contingenti militari di altri paesi alcuna informazione di carattere politico e militare senza l’espressa e preventiva autorizzazione dello Stato Maggiore della difesa”.
Facendo il verso alla sinistra radicale, l’emendamento 3.11 propone che “le unità militari italiane siano impiegate esclusivamente in attività umanitarie e di assistenza alla ricostruzione, attività che debbono essere svolte solo portando armi individuali di difesa”. A tal proposito, Cossiga chiede che i soldati italiani possano utilizzare il fucile solo “se strettamente necessario e nei soli limiti dell’indispensabile, esclusivamente per autodifesa propria, del proprio materiale o delle proprie installazioni o infrastrutture, o delle rappresentanze ufficiali italiane nonché a tutela del personale civile italiano inviato dal Governo e delle organizzazioni non governative italiane, senza mai diritto di inseguimento”.
Ove mai dovesse vincere la sinistra radicale e prevalere la tesi del disimpegno, Cossiga propone al governo un’altra scelta drastica: “la distruzione di tutte le installazioni e infrastrutture militari che possano essere suscettibili di utilizzazione militare o di polizia da parte di chiunque, nonché di tutti i veicoli, aeromobili e armamenti che si ritenga di non ritrasferire in Italia”.
Aldilà della bocciatura (probabile) dei suoi emendamenti e del suo ordine del giorno, l’ex presidente della Repubblica ha già annunciato il proprio no al decreto. Cosa però che non mette in difficoltà la maggioranza. Con il sì oramai scontato dell’Udc, i voti dei senatori a vita stavolta sono graditi, certo, ma superflui.