India travolta dal terrorismo. Sotto accusa i servizi segreti pakistani

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India travolta dal terrorismo. Sotto accusa i servizi segreti pakistani

28 Luglio 2008

Ancora giorni di sangue per l’India, investita da due nuovi attacchi terroristici. Venerdì scorso, Bangalore (Stato del Karnataka) è stata teatro di una serie di piccole esplosioni. In una di queste una donna ha perso la vita. Di ben più vaste proporzioni l’attentato che il giorno seguente ha colpito Ahmedabad, la città più popolosa del Gujarat (India occidentale): 17 esplosioni in sequenza, che hanno provocato finora 49 morti e circa 200 feriti. Sempre nello stesso Stato, sono stati ritrovati e disinnescati tra sabato e domenica altri ordigni a Gandhinagar e Surat. 

L’azione ad Ahmedabad è stata rivendicata dagli Indian Mujahedeen, un gruppo salito per la prima volta agli onori della cronaca lo scorso maggio, quando si assunse la paternità delle esplosioni nella città di Jaipur (Rajastan), costate la vita a 56 persone. La Polizia indiana ha espresso dubbi in merito alla veridicità dell’annuncio: “Solitamente – spiegano le autorità indiane – questi attacchi non sono rivendicati da nessuno”. In ogni modo, 30 persone sono state arrestate e poste in custodia cautelare. 

Negli ultimi due anni sono state bersaglio di attacchi terroristici diverse città indiane: Bombay, Varanasi e Hyderabad. Per Shivraj Patil, ministro dell’Interno federale, questi attentati rientrerebbero in una strategia della tensione orchestrata da gruppi ‘anti-nazionali’, che vorrebbero scatenare una guerra tra indù e musulmani in India, per destabilizzare il Paese e indebolirlo. I giornali locali parlano di una strategia per distruggere il ‘way of life’ indiano. Una cosa di cui appaiono sicure le autorità di Delhi, è che dietro a queste azioni terroristiche si celi la medesima mano. Le deflagrazioni si sono verificate in luoghi pubblici molto affollati e hanno colpito più che altro i civili. L’ultimo vero attacco a un obiettivo istituzionale è stato quello del 2001 al Parlamento nazionale. 

Il dito è puntato naturalmente contro i militanti islamisti, anche se prove schiaccianti in questo senso non sono mai state trovate. In tutti questi attentati (che hanno avuto come bersaglio anche delle moschee, come accaduto a Hyderabad), inoltre, sono rimasti uccisi molti musulmani. Per gli esperti di sicurezza indiani i sospetti dovrebbero concentrarsi sul Students Islamic Movement of India (Simi), un gruppo estremista islamico che negli anni scorsi è stato messo al bando. In realtà, quella dei Mujahedeen indiani non sarebbe altro che una sigla fittizia dietro cui si nasconderebbero lo stesso Simi e un gruppo terroristico pakistano che opera prevalentemente in Kashmir: il Lashker-e-Taiba (LeT). 

Il rapporto conflittuale in India tra indù e i musulmani (che costituiscono con 150 milioni di individui il secondo gruppo religioso del Paese dopo appunto gli induisti), ha origini lontane. La partizione nel 1947 dell’ex colonia britannica d’India in uno Stato a maggioranza indù (l’Unione Indiana) e uno a prevalenza islamica (Pakistan), ha introdotto poi un ulteriore elemento di tensione. In larga parte poveri e discriminati dalla maggioranza indù, i musulmani indiani si sono sempre sentiti ai margini della società. Negli ultimi anni questo senso di alienazione e frustrazione avrebbe spinto alcune loro frange tra le braccia del jihadismo regionale (e globale). 

Il Gujarat, ad esempio, è uno Stato particolarmente sensibile alle dinamiche interreligiose. Si trova al confine con la provincia pakistana del Sindh, e nel 2002 è stato teatro di sanguinosi scontri tra le due comunità, costate la vita a circa 1000 musulmani. La mattanza fu scatenata da gruppi estremisti indù, che accusarono i musulmani di aver appiccato le fiamme a un treno carico di pellegrini induisti, provocando dozzine di vittime. Un episodio sul quale, a dire il vero, non è stata fatta ancora luce. I Mujahedeen Indiani nella loro rivendicazione parlano di vendetta e fanno riferimento proprio a quanto accaduto sei anni fa ad Ahmedabad. 

Rajastan, Karnataka e Gujarat sono tutti e tre governati dal Bharatiya Janata Party (Bjp), storico partito indiano, espressione del nazionalismo indù. Proprio un esponente in ascesa di questo partito, Narendra Modi, primo ministro del Gujarat, è da tempo nel mirino della comunità islamica indiana. Modi fu infatti accusato da questa di complicità nelle violenze settarie del 2002. Secondo B. Raman, noto analista strategico indiano, non è un caso che gli ultimi attacchi abbiano interessato tre Stati governati dal Bjp. A suo avviso, il prossimo obiettivo potrebbe essere dunque un altro Stato guidato dai nazionalisti indù: il Madhya Pradesh, nella parte centrale del Paese. 

Più che alle ancestrali tensioni confessionali tra indù e musulmani all’interno dell’Unione Indiana, quanto accaduto negli ultimi giorni andrebbe in realtà ricondotto alle triangolazioni geopolitiche in corso tra India, Pakistan e Afghanistan. Delhi pensa che gli attentati di Bangalore e Ahmedabad siano collegati a quello che recentemente ha colpito l’ambasciata indiana a Kabul. Nonostante indiani e pakistani siano impegnati in un processo di pace per risolvere il loro contenzioso sul Kashmir (e quindi normalizzare finalmente le loro relazioni), il governo indiano ha accusato pesantemente la sua controparte pakistana per quanto accaduto in Afghanistan. 

Secondo Delhi, in particolare, un ruolo fondamentale in queste ultime vicende lo avrebbe ricoperto l’Inter-Services Intelligence (Isi), il servizio segreto pakistano, altrimenti detto, e non certo a caso, Invisible Sorldiers of Islam. L’Isi sosterrebbe e finanzierebbe il Simi per reclutare cittadini indiani di fede islamica e usarli poi per compiere attentati sul suolo indiano. Per colpire l’India, l’intelligence pakistana si avvarrebbe anche dei servigi del LeT, del gruppo kashmiro Jaish-i-Mohammed e di quello bangladese Harkat-ul-Jihadi-al-Islami (HulJ): tre gruppi islamisti che addestrano aspiranti dinamitardi indiani nelle aree tribali del Pakistan (Fata) e in Bangladesh, per poi rispedirli in patria con tutto il loro bagaglio di morte.