E’ morto Solzhenitsyn, il Nobel che denunciò i crimini del comunismo

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E’ morto Solzhenitsyn, il Nobel che denunciò i crimini del comunismo

04 Agosto 2008

 

È deceduto alle 21,45 (ora italiana) per insufficienza cardiaca nella sua dacia alle porte di Mosca lo scrittore russo Alexander Isaevich Solženicyn. Aveva 89 anni.

Icona del secolo breve, lo scrittore, drammaturgo e storico russo ha attraversato la storia del ventesimo secolo. Premio Nobel per la letteratura nel 1970, Solženicyn legò la sua fama ad "Arcipelago Gulag", la descrizione del sistema concentrazionario dell’Unione sovietica.

I suoi scritti denotano il coraggio e la forza del suo pensiero. Dice di lui la moglie Natalia: “Ha avuto una vita difficile, ma felice”. Nel giorno della scomparsa, l’ex presidente sovietico Mikhail Gorbaciov lo ha definito "un uomo dal destino unico", uno dei primi "a denunciare ad alta voce il carattere inumano del regime stalinista". In realtà, quello che Solženicyn ha condannato duramente non erano solo le condizioni di vita nell’Unioni Sovietica, ma il marxismo nel suo complesso, per concludere che il comunismo è sempre totalitario e violento ovunque sia stato praticato, nel tentativo di scindere il binomio comunismo-Russia.

Nato poco più di un anno dopo la Rivoluzione bolscevica, ne raccontò gli esiti più tragici vissuti di persona nei campi di lavoro. A causa di una lettera che inviò ad un amico, lettera in cui criticava Stalin, nel 1945 nei gulag Solženicyn ci arrivò davvero, con una condanna a otto anni di lavoro forzato. Da quest’esperienza trasse le opere che lo resero celebre, un’icona della dissidenza russa e dell’anticomunismo: "Un giorno nella vita di Ivan Denisovich", "Il primo cerchio" e, appunto, la trilogia "Arcipelago Gulag".

Solženicyn divenne la figura più importante del dissenso russo degli anni Settanta sotto il regime di Breznev e nel 1974, proprio per la pubblicazione della trilogia che lo rese famoso, venne espulso dall’Urss.

Dopo qualche tempo passato in Svizzera si trasferì negli Stati Uniti a Cavendish, Vermont. Era il 1976. Due anni dopo gli venne conferita una laurea ad honorem in letteratura ad Harvard, dove pronunciò un famoso discorso di critica della cultura occidentale per la debolezza con cui stava soccombendo a quella comunista.

Gli avvertimenti di Solženicyn sull’indebolimento della tempra morale dell’Occidente sono stati generalmente ben accolti dagli ambienti conservatori occidentali, e ben si sono adattati alla fermezza della politica estera di Reagan.

Nel 1990 la cittadinanza sovietica di Solženicyn fu ripristinata e nel 1994 ritornò in Russia con sua moglie Natalia, che nel frattempo era diventata cittadina statunitense.

Dal suo ritorno in Russia nel 1994, Solženicyn ha pubblicato otto racconti brevi, una serie di "miniature" o poesie in prosa, le memorie dei suoi anni in occidente e la storia in due volumi delle relazioni tra russi ed ebrei (Due secoli insieme).