Il Centrodestra salvi l’Italia con un’idea di sviluppo
27 Giugno 2016
Uniti si vince, divisi si perde. Questo il refrain che costantemente si sente ripetere nel centrodestra. Se vogliamo, diciamolo senza mezzi termini, una ovvietà. Anche se l’ascesa del movimento 5 Stelle rischia di marginalizzare un centrodestra in crisi di identità. Ad oggi, infatti, abbiamo una sinistra che nel nostro paese rappresenta, da sempre, l’establishment, e i pentastellati che nascono e assumono sulle proprie spalle le insofferenze ed i disagi, reali ed indotti, che attraversano, in maniera più o meno manifesta, il nostro paese.
Ambedue queste opzioni hanno evidenti limiti tutti legati al passaggio dalla fase teorica a quella pratica o, se preferite, di governo. La sinistra è sempre lì. Dilaniata tra le sue spinte ultraconservatrici – il dna marxista non è acqua – e un tentativo di rinnovamento e riadeguamento in chiave di modernizzazione frenato, sempre a scartamento ridotto e, sostanzialmente, poco incisivo.
I 5 Stelle sono un coagulo delle spinte più diverse, in un mix spesso assolutamente contraddittorio ed incoerente, refrattario ad ogni possibilità di reale ed efficace governo della cosa pubblica. Piacciono perché rompono gli schemi e sul piano dei comportamenti hanno messo in atto una serie di piccoli accorgimenti, in sé e per sé non risolutivi, ma che hanno la valenza forte del simbolo, del segnale.
Ma in quanto a capacità di governo temiamo che, con la vittoria raccolta a Roma, avrà fine la loro capacità mimetica ed il Re sarà presto nudo. Rimane, come color che son sospesi, il centrodestra. Uno schieramento in forte crisi dal 2010, incapace di interrogarsi sui motivi del proprio degrado elettorale, una leadership oramai sfiorita e un ventaglio di posizioni, anche su temi importanti, molto divaricate.
Euro sì, o euro no? Europa si o Europa no? E poi ancora, quale il rapporto tra Stato, Regioni ed Enti Locali? Interesse nazionale o logiche nimby? Infrastrutture strategiche sì o no? Tav sì o no? Triv sì o no? Tap sì o no? Immigrazione, difesa, terrorismo, politica estera, sicurezza quali proposte? Quali modelli? Quale operatività? Quali politiche industriali? Potremmo continuare ancora per molto ma riteniamo non sia necessario, perché questi interrogativi bastano ed avanzano per cercare di capire che c’è una necessità impellente di un confronto serio, ponderato, capace di non solleticare semplicemente la pancia delle persone.
Anche perché quel mestiere già c’è qualcuno che lo fa molto bene, ma, soprattutto, sul medio lungo termine non porta molto lontano. Con le battute da bar non si governa ed una politica degna di questo nome deve avere una coerenza ed una consequenzialità operativa da cui, se si vogliono realmente raggiungere degli obiettivi, non si può prescindere. Come nella vita. Nulla di straordinario.
Ed allora bisognerà capire che se ci si innamora del concetto di sovranità nazionale, ad esempio, non si può pensare di vivere nel paese con il più alto grado di dipendenza energetica d’Europa e che quindi, ad oggi, gli idrocarburi servono. Come, similmente, se si blatera di interesse nazionale non si può contestualmente cavalcare tutte le proteste, anche le più assurde, che prendono corpo a livello locale.
Oppure contestare tutte le opere che danno valenza ed importanza logistica ad un paese come il nostro che di questo ambito, per evidenti motivi, dovrebbe fare uno dei suoi asset strategici e, magari, nello stesso tempo, evitare che a livello locale vengano sostenute richieste senza senso legate a un proliferare di aeroporti, interporti e porti. Anche qui ci fermiamo, ma riteniamo di essere stati molto chiari. Un centrodestra degno di questo nome o riparte da una riacquisita e riconquistata credibilità, oppure è destinato a rimanere una ‘collocazione spaziale’ senza più alcun senso.