E’ necessario ripensare il modello di vigilanza europea
28 Ottobre 2016
Si moltiplicano le dichiarazioni critiche nei confronti della signora Danièle Nouy, Presidente del Consiglio di vigilanza della Bce, ed è ormai tempo che la frequenza ed il risalto di tali posizioni facciano seriamente riflettere sulla validità del modello di vigilanza proposto dalla signora Nouy. E’ di ieri la levata di scudi del Presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, che ha sostenuto: “l’operato della vigilanza bancaria europea appesantisce la gestione bancaria con misure che da prudenziali si trasformano paradossalmente in ulteriore incertezza per le banche, le quali, invece, hanno bisogno di maggiore redditività”. Il Presidente Patuelli ha poi aggiunto che “è indispensabile un salto di qualità delle strategie europee ed una verifica dell’esperienza della vigilanza unica”.
La valutazione trova riscontro nell’analisi pubblicata a giugno scorso dal centro studi Bruegel sui primi diciotto mesi della vigilanza unica europea, in cui il Board presieduto dalla Nouy è accusato di rendere troppo rigida e macchinosa la regolamentazione e la vigilanza bancaria. Secondo gli esperti Dirk Schoenmaker e Nicolas Véron, estensori del rapporto, il Consiglio agisce come un vero e proprio “collo di bottiglia”, con la conseguenza di immobilizzare risorse che potrebbero rendersi utili, ad esempio, nel fronteggiare il problema dei crediti in default.
Le critiche all’approccio della Nouy, peraltro, provengono anche dalle stesse Autorità europee, come nel caso di un documento della Commissione Ue pubblicato a marzo del 2016, dove si legge che “i requisiti aggiuntivi di 2° pilastro non possono essere imposti alle banche allo scopo di affrontare situazioni ipotetiche, come nel caso degli scenari avversi prefigurati ai fini degli stress test”. In questo modo la Commissione Ue, sotto la regia del responsabile dei servizi finanziari Jonathan Hill, ha dichiarato alla signora Nouy che non avrebbe il diritto ad operare come ha fatto finora.
Ma qual è il modello di vigilanza proposto dalla Nouy? Volendo semplificare si tratta del modello di “regolamentazione integrale” basato sul presupposto secondo cui ogni forma di rischio che una banca può assumere è calcolabile e la regolamentazione deve essere incentrata sul capitale a rischio, ovvero sul capitale destinato a fronteggiare ogni rischio della gestione, la cui dimensione dovrà essere calibrata in relazione all’entità complessiva dei rischi assunti.
In altri termini, considerando che ogni banca non è altro che la somma, più o meno complessa, degli strumenti finanziari che detiene e dei contratti che sottoscrive, se si calcola il rischio associato ad ognuna di queste attività ed il capitale necessario a fronteggiarlo, il gioco è fatto. Secondo tale approccio, inoltre, la fissazione rigorosa dei requisiti patrimoniali, oltre a soddisfare le finalità di vigilanza prudenziale, soddisfa anche quelle della stabilità del Sistema, per la semplice ragione che il sistema bancario altro non è che la somma delle singole banche ed il controllo sui rischi di ogni intermediario comporta automaticamente il controllo sull’intero Sistema.
Il problema, però, è che tale modello si è già dimostrato chiaramente irrealizzabile oltre che assolutamente dannoso per la gestione delle banche e per l’economia reale, soprattutto in una fase come quella attuale contrassegnata da una grande debolezza delle prospettive di superamento della crisi e di ripresa economica. Le ragioni risiedono, prima di tutto, nella sostanziale impossibilità per i Regulator di codificare l’intera casistica dei rischi, vecchi e nuovi, teoricamente assumibili dalle banche nonché di assegnare discrezionalmente ad essi il giusto peso in termini di assorbimento di capitale, in modo coerente con quanto apprezzato dai mercati.
Si tratta di un esercizio che non ha mai fine perchè necessita di continui aggiustamenti e modifiche, dando origine ad una condizione di perenne “incertezza regolamentare”, che obbliga stabilmente gli intermediari ad intervenire sulle procedure e sull’organizzazione interna, ostacolando in tal modo gli stessi programmi di investimento e di rafforzamento patrimoniale.
Ed ha un bel dire la signora Nouy nell’affermare che le banche dell’eurozona devono “ripensare il loro business model e adattarsi alle attuali condizioni di mercato”, caratterizzato da bassi tassi di interesse che pregiudicano la profittabilità. E’ di chiara evidenza, infatti, che l’impegno per pianificare e realizzare il cambiamento delle strategie e del modello operativo necessita di una condizione di sostanziale stabilità delle prospettive e del contesto di riferimento e non certo di una “frenesia normativa” che muta in continuazione le regole del gioco.
* Segretario Generale dell’Associazione Nazionale fra Le Banche Popolari